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Secondo una fonte taiwanese, il risultato (atteso per il pomeriggio ora italiana) non cambierà troppo rispetto ai primi dati: William Lai (candidato del Partito democratico progressista, Dpp) è in vantaggio con il 42% dei voti, seguito da Hou Yu-ih, che si presenta per il Kuomintang (Kmt), e l’ex sindaco di Taipei, Ko Wen-je, del Partito popolare (Ppt) – rispettivamente al 33% e 24%.

Ma l’interesse che arriva anche in Italia per le elezioni di Taiwan non ruota attorno al vincitore, piuttosto a quelle che saranno le sue posizioni, le sue politiche e le sue scelte. È questo che da mesi ha accesso i riflettori internazionali attorno al voto, riflettori su cui i taiwanesi storcono un po’ il naso, non perché non ne ne vogliano – piuttosto ne chiedono altre, orientate al raggiungimento di obiettivi di integrazione nel sistema della Comunità internazionale per esempio, o nelle organizzazioni sportive e culturali.

Le elezioni sono parte della naturale dinamica democratica taiwanese e interessano aspetti di carattere interno che riguardano i taiwanesi (economia, lavoro, servizi e la gamma classica dei temi elettorali). Ma anche per colpa di un’attività di narrazione cinese (un’infowar costante che dura da molto tempo, non soltanto nelle ultime settimane pre-elettorali), il tema percepito al di là dello Stretto riguarda il futuro dell’Isola, i rapporti tra potenza, la possibilità di una guerra. Ne è dimostrazione anche il come importanti think tank abbiano analizzato l’evento.

Quale sarà la posizione nei confronti di Pechino?

“In un mondo ideale, le elezioni nazionali di Taiwan non avrebbero nulla a che fare con la Cina o gli Stati Uniti. Sarebbe semplicemente un’opportunità per i 24 milioni di persone dell’isola autogovernata di scegliere i politici e le politiche che meglio soddisfano le loro aspirazioni”, ammette Ben Bland, direttore dell’Asia Pacific Programme della Chatham House. Ma sì, in effetti questo non è un modo ideale – la sicurezza collettiva è sotto stress, come dice a Formiche.net Antonio Missiroli (dimostrazione pratica, che riguarda anche Taiwan e i suoi collegamenti con l’Europa, l’Indo Mediterraneo è in fiamme, per esempio).

“Più la democrazia e l’identità taiwanesi si consolidano, più difficile sarà per Pechino garantire un’integrazione pacifica di Taiwan, qualcosa che pochissimi taiwanesi vogliono”, scrive Bland – ed è per questo che il voto è intriso di infowar, di pressioni e alterazioni da parte di Pechino, che considera l’annessione come prerogativa esistenziale della Repubblica popolare cinese. L’esperto del think tank inglese aggiunge che i candidati “stanno tutti offrendo diversi modi per aspettare il tempo e tenere a bada Pechino rafforzando le difese di Taiwan e riducendo al minimo le provocazioni”.

“In un momento in cui la democrazia è minacciata in molte parti del mondo, è probabile che le elezioni di Taiwan dimostrino la vivacità e la resilienza del suo sistema politico. Mentre alla Cina può o non può piacere il risultato, scegliendo i propri leader in un concorso equo e trasparente, il popolo taiwanese sta inviando un messaggio forte sul tipo di mondo in cui vuole vivere”, scrive Blend. Che però nota come a differenza delle volontà popolari, nessuno dei candidati ha una chiara idea su come proteggere e conservare lo status quo.

“Per quanto riguarda la nuova amministrazione, dopo le elezioni, sono sicuro che Taiwan manterrà la calma e la resilienza di fronte alla minaccia cinese, ma prima di ciò, sono sicuro che la nuova amministrazione compirà tutti gli sforzi possibili per cercare un dialogo con la Cina, e proverà tutti i possibili metodi per mantenere la pace nello Stretto di Taiwan, continuando a lavorare con i paesi democratici per la salvaguardia della pace nell’area dell’Indo Pacifico”, ci aveva spiegato Vincent Tsai, ambasciatore a capo dell’Ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia.

I rapporti con Pechino

Tsai Ing-wen, del Partito Democratico Progressista, è al potere da otto anni. Ha fatto molto per rafforzare le relazioni tra Stati Uniti e Taiwan e affermare davvero Taiwan sulla scena globale”, nota David Sakcs, Fellow for Asia Studies del Council on Foreign Relations. “Ma allo stesso tempo – continua in un podcast del think tank statunitense – non c’è stata alcuna comunicazione con Pechino negli ultimi otto anni. Mentre ciò è accaduto, le minacce di Xi Jinping nei confronti di Taiwan sono aumentate. Anche la retorica è salita di una tacca”.

Proprio di recente, nel suo discorso di Capodanno, Xi ha definito l’unificazione una “inevitabilità storica”, quindi la vera domanda per Sacks riguarda se il leader cinese senta più urgente agire e muoversi verso l’unificazione, a seconda dei risultati delle elezioni. In questo momento, il vicepresidente di Tsai Ing-wen, Lai, come lo è sempre stato nei sondaggi. “Se tira fuori una vittoria Pechino finirà per trovarsi davanti dodici anni di governo del Dpp (gli ultimi tre mandati, ndr)”, che viene considerato dalla Cina un pessimo interlocutore, a differenza del Kmt, controparte preferita, recentemente rinvigorita ma su cui i cinesi potrebbero farsi domande in caso di sconfitta.

Questo potrebbe alterare la postura cinese, renderla ulteriormente più assertiva, e dunque creare disequilibri? Washington e Pechino diffidano delle potenziali turbolenze dopo le elezioni di Taiwan, soprattutto perché i leader di entrambe le capitali affrontano pressioni interne per evitare di “sembrare deboli”, spiega Patrizia Kim della Brookings Institution valutando come i rapporti tra le due potenze siano per il momento stabilizzati ma precari.

Taiwan tra Usa e Cina

La Cina ha continuato a inviare aerei militari, navi da guerra e palloni-spia nello stretto di Taiwan. Il Taiwan Affairs Office di Pechino ha recentemente denunciato il candidato vicepresidente del Partito Democratico Progressista, che guida i sondaggi, come un “distruttore della pace attraverso lo Stretto di Taiwan”. Un funzionario cinese ha recentemente avvertito che il popolo taiwanese deve fare la “scelta corretta” se cerca di evitare la “guerra” e il “declino”. È la grande differenza di approccio, tra Taipei che vede nelle elezioni il soffio vitale della pace, e la componente più nazionalistica di Pechino che le considera un atto di semi-guerra.

“Mentre una reazione massimamente violenta da parte di Pechino in risposta alle elezioni sembra meno probabile, Xi e il Partito si sono già appoggiati in un angolo screditando Lai come un ‘troublemaker’ e un ‘separatista’. Se Lai vince, Pechino crederà di non avere altra scelta che reagire a ogni mossa di Lai (le sue dichiarazioni, politiche e scambi diplomatici) che ritiene affermare l’indipendenza di Taiwan. Se c’è un problema che aumenta le emozioni in Cina, è Taiwan, che scoraggia la moderazione al di sotto della soglia della guerra”, scrive Kim.

D’altra parte, nell’arena politica americana, Taiwan è diventata una cartina di tornasole su quanto siano duri i leader statunitensi nei con la Cina. È questo va inserito all’interno dell’altro voto di quest’anno: Usa2024. “L’aggressività di Pechino farà pressione su Joe Biden, sui candidati del Repubblicani e su altri leader statunitensi per adottare misure di maggior profilo a sostegno di Taiwan, stimolando ulteriori reazioni da parte di Pechino. Tali dinamiche di azione-reazione diminuiranno le prospettive di discussioni ponderate negli Stati Uniti sulla politica di Taiwan in mezzo a un equilibrio militare mutevole nello Stretto di Taiwan e limiteranno lo spazio per l’esame di misure di rassicurazione da parte di Pechino, Taipei e Washington per mantenere lo status quo attraverso lo Stretto”, prevede Kim.

Voto a Taiwan, ma i riflettori puntano anche su Cina e Usa

Il voto è un esercizio democratico dei taiwanesi, ma le attenzioni internazionali sono alte perché la Cina lo ha descritto come un atto di semi-guerra, e da esso dipendono anche i rapporti tra Pechino e Washington. Mentre vengono sfogliati i primi risultati, le valutazioni di Chatham House, Brookings Institution e Council on Foreign Relations

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