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Una gustosissima vignetta raffigura i cardinali “incontrarsi” ma ognuno con un bastone in mano. Guardando meglio quel bastone sembra proprio la vecchia clava e infatti in vignettista sotto ha scritto “con-clave”.

Il conclave da sempre stimola i bassi istinti della fantasia senza freni, anche perché la segretezza – eterna compagna dei palazzi apostolici – aiuta a rendere immaginabile tutto ciò che si sussurra o si vuol dire sul potere, gli intrighi, i giochi di palazzo. C’è in questo esagerazione? Nella sua autobiografia, “Spera”, papa Francesco ha raccontato che mentre entrava al conclave che lo elesse nel 2013 qualche cardinale lo avvicinò e gli chiese se fosse vero che aveva solo un polmone. Lui rispose dicendo che in realtà non aveva solo un lobo di un polmone, non era stato privato di tutto un polmone. Poi ha capito che gli avversari stavano usando anche quest’arma per ostacolare la sua corsa: raffigurarlo come un non idoneo per problemi di salute. E certe fantasie “sulla sua salute” sarebbero tornate con la famosa scandalosa fandonia del tumore al cervello, una “coniura” direbbe Machiavelli di cui poi non si è cercato di capire di più, sebbene tutto fosse abbastanza evidente.

L’aneddotica potrebbe proseguire per centinaia di pagine, ma a me sembra difficile non collegarla al fatto di cronaca: le voci sull’improvviso malore del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Francesco e nome di punta in questo conclave. Sono siti, soprattutto americani (si dice anti-Francesco) che l’hanno diffusa. Come è noto è stata ufficialmente smentita, ma l’insinuazione è filtrata e si sa che sulla salute il Vaticano non eccelle in trasparenza. Il punto però sembra questo: se fosse falsa, come ritengo, perché pubblicarla? E se fosse vera, chi l’ha sussurrata? Nel primo caso saremmo all’ennesimo caso di fake news, come nel caso del polmone di Francesco, se fosse vera saremmo al ritorno dei corvi. L’intenzione infatti potrebbe essere la stessa del caso relativo al cardinale Bergoglio: presentare un papabile come malato, quindi inidoneo.

Sul caso del cardinale Parolin ci sarebbe molto da dire per la messe di voci che circolano sul suo conto: si va da alcune affermazioni di presunti amici a quelle attribuite a un cardinale a lui legato durante i lavori di questi giorni (a porte chiuse) che criticavano un punto del magistero di Francesco, per dire che dunque Parolin è in discontinuità. I cardinali non possono avere un carattere, idee proprie, su un punto magari diverse da quelle del loro possibile candidato del cuore? E se anche in qualche caso fosse così, sarà sempre così?

Comunque molto interessante è il caso di un sito anti Francesco che raffigura Parolin come il male, soprattutto perché architetto del cruciale accordo con la Cina (inseguito anche da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) detestato dagli ambienti a cui questo sito afferisce, ma poi dice che gli altri papabili sono peggio di lui e allora si sarebbe fatto un accordo con Parolin, che in cambio del voto assicurerebbe a questi nemici disposti a votarlo per evitare mali peggiori il futuro segretario di stato. Ma questo non potrebbe essere uno sgambetto? Immaginiamo l’addetto stampa di un cardinale bergogliano che legge questo testo: non direbbe al suo cardinale “attenzione! Guardi qui cosa stanno facendo!”

La giungla dei giochi e delle voci che si spargono intorno al conclave è troppo facile da alimentarsi, ma anche in questo caso aveva ragione il grande Baruch Spinoza: “Le azioni umane non vanno irrise, lodate, detestate, ma comprese”. Vanno comprese nonostante tutti parlino del tanto citato “amore cristiano”, che poco si vede, perché anche questa volta, c’è la consapevolezza che la posta in gioco è altissima.

È sempre così, ma questa volta alcuni dicono che sia in ballo l’autonomia della Chiesa, visto che gli odierni potenti del mondo giocano proprio pesante, in modo evidente a Washington e che nessuno nasconde che la cassa non è florida. Ma qui entriamo nel meccanismo delle illazioni, dei timori, tutti scenari che potranno avere fondatezza, ma che nessuno di noi è o sarà in grado di accertare. Ciò che invece di enorme c’è e di tutta evidenza è l’enormità dell’eredità lasciata a tutti, a partire dal conclave ovviamente, da un uomo che all’anagrafe si chiamava Jorge Mario Bergoglio. La sua eredità è una “rivoluzione”.

La “rivoluzione” di Jorge Mario Bergoglio sta nella sua scelta del nome da papa: Francesco. San Francesco è morto nel 1226, la Chiesa già c’era da tempo, ma da allora nessun cardinale eletto vescovo di Roma ha scelto il suo quale nome da papa. Non c’è bisogno di essere degli studiosi di teologia, o degli introdotti vaticanisti, sempre immersi nelle carte o nei retropensieri vaticani, per capire che è stata una “rivoluzione”. Chi di noi non sa che il ricco giovanotto d’Assisi si spogliò nudo in piazza e restituì abiti di seta e denari a suo padre, davanti a testimoni impietriti? Chi dei milioni di pellegrini che sono andati ad Assisi non sa che i suoi rapporti con il papato del tempo non furono proprio idilliaci?

Dunque è una lettura del Vangelo, radicale come Francesco d’Assisi e immersa nel tempo, nella storia, la rivoluzione di Francesco, la sua eredità. Questo spaventa dentro e fuori dalla Chiesa, ma non per il confronto tra “progressisti” e “conservatori”, o “reazionari” come oggi è più giusto dire: reazionari nel senso che sentono l’urgenza di una reazione alla scelta francescana come l’ha presentata Jorge Mario Bergoglio, quella che ha scosso il mondo al di là del fatto se chi l’ha vista votasse di qua o di là.

Quando mossi i miei primi passi in Sala Stampa Vaticana sentii un collega dire a un altro di noi: “Mi parli del Vangelo, ma chi parla più del Vangelo tra noi?”. Il Vangelo, il modo di viverlo… Sono i gesti più noti di Francesco, le sue scelte più nette, come la vicinanza ai migranti forzati, che sono 120 milioni nel mondo: è questa un’istantanea dell’essenza della sua eredità. Tanto si può dire di altro, su tante altre cose, anche criticamente, ma questo “imprinting” è la sua rivoluzione che ora alcuni accettano altri no. Il nome Francesco si legge “fratellanza”, è quindi chiaro che alcune sue derivate non vanno incontro a chi teme altre culture, a chi ritiene che fuori dalla verità di fede ci siano solo false credenze e quindi una falsa umanità: molto altro deriva da qui, come è naturale.

Ovviamente questa eredità non è vissuta da tutti coloro che la difendono nello stesso modo: un bergogliano potrà ritenere che l’eredità va gestita, diciamo “posata per terra”, un altro che va proclamata ancora di più; gli intimoriti potranno ritenere che va limitata, corretta, i nemici che va archiviata, per tanti motivi che vengono espressi anche con chiarezza. Ecco allora che la trasformazione mediatica del confronto che accompagna il conclave in un qualcosa che ricorda quella disciplina americana che si chiama MMA, Arti Marziali Miste, nella quale non so esistano colpi proibiti, si può non giustificare ma comprendere. In ballo c’è il modo di rapportarsi a qualcosa che nella Chiesa aleggia dal 1226, cioè l’eredità di Francesco.

I corvi, come tutti sanno, non sono una novità, la novità è la posta, ciò che nei rapporti con il mondo, il potere di oggi, e gli uomini e le donne di oggi, ne consegue. Decrittare i messaggi, i bluff, è altra cosa: ma la posta è chiara.

(La vignetta si può vedere a questo link)

Conclave o “con-clave”? Intrighi, retroscena e interrogativi nella corsa al dopo Francesco

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