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In Russia, qualcosa si muove nei piani apicali della gerarchia militare. Nella mattina di giovedì 23 maggio è stato annunciato che il vice-Capo di Stato Maggiore della Difesa Vadim Shamarin è stato arrestato con l’accusa di corruzione, e in particolare di aver accettato una tangente “su scala particolarmente ampia” durante l’assegnazione di contratti statali. “La lotta alla corruzione è uno sforzo continuo. Non è una campagna. È parte integrante delle attività delle forze dell’ordine”, ha dichiarato ai giornalisti il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Uno sforzo che in questo momento sta vivendo un momento caldo: nelle scorse settimane sono diverse le figure di rilievo del ministero della Difesa o del Mondo delle Forze Armate ad essere arrestate con l’accusa di corruzione, compreso l’allora vice-ministro della Difesa Timur Ivanov. Quest’ultimo era considerato un esponente del circolo ristretto dell’ex-ministro della Difesa Sergei Shoigu, e il suo arresto (eseguito con modalità particolarmente scenografiche) ha dato adito a previsioni sulla sostituzione del vertice del ministero della Difesa. Previsioni che si sono puntualmente avverate poco dopo, con l’approdo di Andrey Belousov alla Difesa in sostituzione dello stesso Shoigu, che è stato “riposizionato” alla Segreteria del Consiglio di Sicurezza della Russia.

In questo caso, il siluramento di Shoigu non era dovuto alle accuse pendenti sul suo sodale, quanto ad altre motivazioni di carattere e politico e militare, dall’andamento del conflitto in Ucraina sin dal suo inizio nel febbraio 2022 ai contrasti con l’ex leader della Wagner Yevgeny Prigozhin. L’arresto di Ivanov è stato utilizzato in modo strumentale, per preparare il terreno al cambio al vertice dopo più di dieci anni dall’insediamento di Shoigu, secondo un pattern già utilizzato in passato dal Cremlino. Il che porta ad un legittimo sospetto: che l’arresto di Shamarin sia un preludio alla sostituzione del Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov?

La scorsa settimana il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato di non avere in programma modifiche allo Stato Maggiore per “l’andamento positivo dei combattimenti”. Ma questo non è certo una garanzia sul futuro del celeberrimo comandante in capo delle Forze Armate Russe, fautore (involontario) di quella “Dottrina Gerasimov” che per anni ha agito da spauracchio nei circoli strategici occidentali. Ci sono anzi diversi fattori che validano questa ipotesi.

Nella Russia post-sovietica ogni ministro della Difesa ha sempre preferito avere una figura amica nel ruolo di Capo di Stato Maggiore, per via della profonda interconnessione esistente tra i due ruoli. Gerasimov era arrivato al vertice della gerarchia militare russa in seguito all’arrivo di Shoigu al ministero della Difesa, rimpiazzando Nikolai Makarov, uomo di fiducia dell’ex ministro Anatolij Serdyukov. Succeduti a loro volta al ministro della Difesa Sergei Ivanov e al Capo di Stato Maggiore Yury Baluevsky (anche se in questo caso c’è stata una maggiore discrepanza temporale, con la prima fase del mandato di Ivanov coperta da Anatolij Kvasnin).

Inoltre, così come Shoigu, a causa dell’andamento tutt’altro che positivo del conflitto in Ucraina anche Gerasimov era divenuto bersaglio delle forti critiche di Prigozhin, nonché uno degli obiettivi della “Marcia della giustizia” lanciata dal leader della Wagner nel giugno dello scorso anno. Come conseguenza di questi fatti, la sua figura si è inevitabilmente compromessa. Divenendo antitetica all’idea di un “nuovo inizio” che il Cremlino vuole trasmettere attraverso il rimpasto di governo di pochi giorni fa.

Tutto questo, assieme al ripresentarsi del pattern di cui sopra, sembra suggerire che i giorni di Gerasimov al vertice delle Forze Armate siano agli sgoccioli. Ma in quella Russia che è un “rebus avvolto da un mistero che sta dentro a un enigma” secondo la calzante definizione di Winston Churchill, nulla è da dare per scontato.

Verso la fine dell'era Gerasimov? Gli indizi non mancano

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