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La piattaforma politica che sorregge l’ambiziosa stagione di riforme inaugurata dall’accordo Renzi-Berlusconi permette ottimisticamente di nutrire qualche speranza sul buon esito almeno del cambiamento della legge elettorale. Il progetto Italicum, com’è noto, sarà votato oggi stesso alle diciannove in Commissione per approdare poi in aula.

Vi sono tre nemici da battere.

L’opposizione più temibile è quella del M5S, se non altro per i numeri che i grillini detengono a Montecitorio e per il disfattismo ideologico approssimativo che ne anima la compagine. La loro alternativa proporzionale, infatti, è un pretesto per annullare ogni iniziativa. E’ facile capire perché: se si risolvono i problemi reali, viene meno la ragion d’essere della loro esistenza politica. L’opposizione più seria, invece, è quella della Lega, perché vedrebbe penalizzata la matrice territoriale e locale della propria presenza politica con un’interpretazione in senso nazionale della rappresentatività. L’opposizione più insidiosa, in ultimo, è quella interna al PD. Soltanto ieri in un’interessante intervista a Skytg 24, il politologo Giorgio Galli faceva trapelare che dietro la maretta dei cuperliani potrebbe sbucare la figura di Fabrizio Barca, raccogliendo i cocci rossi di un’eventuale flessione alle Europee della segreteria Renzi, dopo un eventuale stop alle riforme.

Più complesso è il rapporto tra questa maggioranza riformatrice, composta appunto da PD, NCD e FI, e l’antica maggioranza governativa, composta di PD, SC e NCD, la quale esclude proprio il principale alleato di Renzi, in questo momento, che è appunto Berlusconi.

Per la minoranza del PD non esiste alternativa a seguire per ora il sindaco di Firenze, almeno di non optare per abbandonare irreparabilmente il carro del vincitore, seguendo la strada scissionista di fiancheggiamento alla sinistra radicale. Cosa diversa è, viceversa, il caso di coloro che, ormai in un contesto mutato radicalmente, si trovano a far parte dell’esecutivo, senza garanzie politiche future e senza un progetto sufficientemente consistente per la propria sopravvivenza.

In effetti, tralasciando le sensibilità personali di ciascuno, la vera idea rivoluzionaria dell’Italicum è che esso eliminerebbe completamente, con il doppio turno, qualsiasi presenza parlamentare delle piccole minoranze. E solo questo è un traguardo molto positivo e perfino ultramoderno.

Verrebbe, infatti, assicurato un bipolarismo strutturale, corrispondente al consolidato dualismo politico emerso con la Seconda Repubblica. Oltretutto, anche guardato in un’ottica meno vicina, tutto ciò non sarebbe in contrasto con la tradizione elettorale italiana, nella prima fase storica della Repubblica comunque dominata da un bipolarismo netto, sebbene imperfetto, quello tra il centro democratico e la sinistra comunista.

Bene, dunque, l’Italicum, sotto ogni punto di vista. E bene dare ai cittadini un mezzo per contare il valore dei propri rispettivi raggruppamenti e dei corrispondenti valori generali, più importanti per definizione delle specifiche differenze interne.

Naturalmente, resta un’altra serie di scogli all’orizzonte. In primis, come si accennava dianzi la mancanza dell’avallo governativo all’azione renziana. Il Gabinetto Letta è nato, nei fatti, sotto l’egida del Quirinale con un programma mitigato e tiepido di superamento dell’impasse centrosinistra-centrodestra. Nei disegni di Giorgio Napolitano si sarebbe trattato di rendere possibile l’appianamento della fase acuta d’ingovernabilità attraverso due uomini molto seri e compassati, Enrico Letta e Angelino Alfano, capaci di tenere insieme il Paese al riparo dall’emergenza. Ma l’emergenza vera in Italia è la staticità fossile della politica, di cui l’attuale ministero è emblema.

Oltretutto, oggi che il NCD, molto opportunamente, ha aderito all’ipotesi bipolare sottesa nella bozza di legge elettorale, è chiaro che è venuta automaticamente meno la sostanza politica che sostiene questo Governo.

E’ logico che aprire una crisi adesso non sia auspicabile anche perché probabilmente andrebbe a danno più che a vantaggio delle riforme. Ciò nondimeno, avendo Renzi chiuso all’ipotesi di rimpasto, se dovesse nascere un problema grave all’interno del suo partito, gli effetti ricadrebbero immediatamente sulla tenuta dell’esecutivo, ed ecco che improvvisamente lo scenario potrebbe cambiare.

Data la popolarità che il personaggio accumula di ora in ora, l’eventualità di un Governo Renzi, con il sostegno di PD, NCD e Forza Italia potrebbe, a quel punto, diventare l’unica strada praticabile per far procedere il Paese in avanti verso i cambiamenti istituzionali. Anche perché l’ipotesi elezioni anticipate è da escludersi, oltre per il diniego di Napolitano, a causa dell’incostituzionalità del Porcellum.

Certo, a ogni buon conto, molti sono i punti dell’Italicum che meritano un attento esame, in primis la questione delle preferenze, nonché quella delle quote di genere e del premio di maggioranza. Un punto, però, di altro tipo segna la debolezza vera di questa fase. Non esiste una figura politica giovane e popolare nel centrodestra. Sebbene Berlusconi raccolga ancora attualmente un consenso forte attorno a sé, è chiaro che la volontà di fare delle riforme bipartisan avrebbe maggiore potenza se dall’altra parte ci fosse qualcosa di simile e opposto a Renzi.

La storia, ovviamente, non la facciamo noi. Ad ogni modo, anche da questo punto di vista, procedere insieme in direzione dell’alternanza elettorale tra progressisti e conservatori è il miglior modo per spingere il centrodestra a trovare qualcuno che possa raccogliere unitariamente e in modo carismatico il testimone del Cavaliere, sfidando Renzi alle prossime elezioni politiche.

 

 

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