The Donald può farcela a siglare un accordo tra Zelensky e Putin. Ma non tutta l’Europa potrà aiutarlo. Soprattutto quei Paesi e quelle personalità che ancora oggi sono troppo esposte ad alimentare l’escalation, a parlare insistentemente di guerra contro la Russia, o quei leader indeboliti politicamente in casa loro. È qui che l’Italia potrebbe svolgere un ruolo di cerniera, insieme alla Turchia e ad Angela Merkel. Con Trump gran cerimoniere che chiude al momento giusto
Realisticamente il conflitto russo-ucraino sta inabissandosi nel dimenticatoio. Qualche giorno fa Zelensky ribadiva che l’Europa e gli Usa devono dare ancora una risposta concreta contro gli attacchi russi. La von der Leyen ha parlato esplicitamente di essere in guerra ibrida. La sensazione è che molti nel Vecchio Continente stiano marciando per proprio conto. Ognuno rilascia dichiarazioni che vanno nel senso contrario della pace. Chi riesce spiegare qual è la strategia dell’Europa? Chi comanda in Europa? Dove si vuole andare a parare nel conflitto in corso? L’Europa (tutta) è o no in guerra con la Russia?
Non sarà sfuggita ai più l’intervista rilasciata dall’ex premier teutonica Angela Merkel. I Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e la Polonia hanno una grossa responsabilità per lo scoppio del conflitto nell’Est, dal dialogo con Putin dopo il fallimento degli accordi di Minsk fino alla guerra in Ucraina. L’ex premier ha confermato quello che a molti di noi era parso evidente. C’è un gruppo di comando in Europa (Dombrovskis l’Economia, Kallas gli Esteri, Kubilius la Difesa e Serafin il Bilancio) che sta facendo l’andatura della Commissione per ostacolare qualsiasi accordo con la Russia. Un atteggiamento nervosamente bellico, per ora molto a parole, che può portare al peggio. Denso di dichiarazioni all’unisono che non lasciano sperare nulla di buono. Il Vecchio Continente ha bisogno in questo momento meno dell’aumento di tensioni, fibrillazioni militari che spaventano le stressate comunità delle nazioni europee. Al contrario è urgente allentare, lenire, l’intera area, per ritrovare quella quiete indispensabile che permetta all’Europa di risollevarsi. E trovare un ruolo. Per altro completamente assente a Gaza. Dove la funzione di Donald Trump è stata fondamentale. Come lo sarà nel trovare una soluzione alla guerra tra Russia e Ucraina.
Gaza e Ucraina sono due scenari differenti. Che si riassumono in quel gesto pedagogico di Trump verso Netanyahu quando gli passa il telefono per scusarsi con l’emiro per l’attacco aereo israeliano in Qatar. Trump controlla, condiziona, l’alleato medio orientale. Lo stesso Trump non può fare con Putin, che è un nemico alla pari. L’ha fatto, all’inizio, con Zelensky, ma poi il resistente ucraino ha avuto l’astuzia di legarsi mani e piedi all’Unione Europea e alla Nato, pur non facendo parte di entrambe. Tanto è vero che, così stando le cose, il capo della Casa Bianca ha cambiato strategia, mal comun mezzo gaudio, e adottando il format America First ha pensato bene di lucrare sul conflitto russo-ucraino, alimentando la filiera di acquisto di armi per la difesa (l’Europa per uscire dalla crisi non può trasformarsi in economia di guerra come la Germania, gravando oltremisura sui welfare dei singoli stati: riferendosi al nostro Paese, Bankitalia e Upb mettono in guardia sulle spese per il riarmo: aumenteranno il debito del 7,5% rispetto alle precedenti stime). Sostenuto dalle continue richieste di Zelensky e dall’Europa che spinta dai volenterosi (ormai scomparsi dalla scena mediatica, ma operativi silenziosi, in autonomia Gran Bretagna e Francia continuano inviare armi) prima e dallo spettro droni poi ha marciato per spingere all’inasprimento definitivo dei rapporti con la Russia fino al varo del diciannovesimo pacchetto di sanzioni (anche se in diversi modi il petrolio russo continuerà ad arrivare in Europa così come nelle molteplici vie il gas a fronte delle inopportune quanto disagevoli dichiarazioni del premier polacco “il problema del Nord Stream non è che sia stato fatto saltare, ma che sia stato costruito”) e ora col probabile invio dagli Usa dei missili a lunga gittata Tomahawk in grado di colpire duemila siti sensibili dell’intera Russia.
In questo concatenamento verso il nulla per la soluzione della guerra in Ucraina, Trump (è cosa buona e giusta che termini di fare il giochetto che autoalimenta le casse del Tesoro americano con la vendita di armi alla Nato) deve partire dal coinvolgimento dell’Europa, dai paesi meno compromessi, da quelli che non hanno spinto per l’escalation. L’Italia è una di queste. Il nostro ministro degli Esteri Tajani ha sempre ribadito che non siamo in guerra con la Russia, inoltre recentemente è intervenuto per allentare la tensione provocata dall’avvistamento ovunque di droni. Erdogan, che fa parte della Nato (e continua a prendere petrolio e gas dalla Russia) è un altro leader da coinvolgere (lo è stato fatto anche per Gaza) perché l’incontro tra Russia e Ucraina può ripartire da quell’accordo pronto siglato in Turchia a un mese dall’inizio del conflitto. Un ruolo di alta diplomazia di dialogo lo può avere anche Angela Merkel, ex premier tedesco che si è adoperata con coraggio nel coinvolgimento della Russia (se fosse ancora in vita questo incarico lo potrebbe assumere di spinta Silvio Berlusconi, costantemente in prima linea a tenere aperti i rapporti con la Russia).
Non è andata per quel verso ma meglio sarebbe stato se in questa situazione si poteva arrivare con il conferimento a Trump del Nobel per la pace (la Russia ha detto che avrebbe sostenuto la candidatura), in un qualche modo era l’investitura a uomo di pace che per quell’ego sconfinato del Presidente degli Stati Uniti voleva dire benzina inesauribile per raggiungere lo scopo finale. La strada comunque è irta di difficoltà soprattutto per quella sovraesposizione compromessa di parte dell’Europa, di molti suoi leader, poco inclini a rimangiarsi le parole e le promesse fatte. Inoltre sono da freezare quelle turbative spesso veicolate in slogan che agitano lo spettro della guerra. Così devono cadere molti tabù concernenti le terre conquistate o le terre da riconquistare, tracciando un corridoio dove convogliare questi aspetti in un possibile memorandum di pace in più punti (com’è stato fatto per Gaza) da stilare dai protagonisti sopra citati anche insieme alla Cina.