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La parola d’ordine con cui il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha guidato una delegazione italiana in Libia è pragmatismo. Accompagnato dal viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli e dal direttore dell’Aise Giovanni Caravelli. Piantedosi ha incontrato Khalifa Haftar, signore della guerra di Bengasi, capo miliziano con ambizioni sul futuro del Paese sin dal 2014 e attualmente considerato un interlocutore forzato nel Paese.

L’autoproclamato maresciallo di campo, che guida l’altrettanto autoproclamato Libyan National Army (Lna), ha ancora un’impronta militare in Cirenaica, dove controlla una parte degli interessi che si muovono attorno al processo di stabilizzazione — che per altro ha avuto una sferzata in questi giorni, dopo un incontro al Cairo, in cui Consiglio presidenziale, Camera dei Rappresentati e Alto Consiglio di Stato hanno trovato un accordo per riavviare il percorso verso le agognate elezioni tramite un nuovo governo di scopo.

Le tre istituzioni internazionalmente riconosciute, che però sono divise da interessi interni, hanno trovato l’accordo sedute a un tavolo di confronto organizzato dalla Lega Araba. Ossia il processo sta avendo una sponsorizzazione regionale che un Paese come l’Italia intende sostenere. Anche per questo, il dialogo con Haftar va mantenuto. Il feldmaresciallo di Bengasi potrebbe essere un guastatore di questo percorso, secondo uno schema già visto in più occasioni in passato, quando tra l’altro è stato usato da puppet russo. Mosca ha infatti piazzato alle sue spalle un sistema di mutuo interesse: lo sostiene militarmente attraverso i contractor ex-Wagner e lui ripaga mantenendo alto il livello di caoticizzazione in uno dei dossier più delicati del Mediterraneo.

Il comandante in capo “ha accolto la delegazione italiana, esprimendo la sua gratitudine e il suo apprezzamento per questa visita, che si inserisce nell’ambito della discussione e dello scambio di opinioni tra i due Paesi amici, e per promuovere il partenariato e la cooperazione nei campi della sicurezza, economico e commerciale”, afferma una nota della comunicazione haftariana che non ha risparmiato un’ampia copertura fotografica dell’incontro con gli italiani. Immagini usate anche in modo eccessivo e con l’ambizione di dimostrarsi un attore internazionalmente riconosciuto, tema utile anche per rivendicare un ruolo con i dante causa russi.

La delegazione italiana ha espresso “l’apprezzamento” del governo Meloni per il ruolo del Lna nel “combattere il terrorismo e l’estremismo, e per i suoi significativi sforzi tesi a ridurre l’immigrazione clandestina”, dice la nota di Bengasi, aggiungendo che i funzionari italiani “hanno espresso il sostegno del governo italiano a tutti gli sforzi volti a rafforzare il processo politico e a tenere elezioni presidenziali e parlamentari in Libia per raggiungere una stabilità permanente”.

Se è certo questo ultimo passaggio, con Roma che è uno degli attori occidentali più attivi nel sostenere il processo di stabilizzazione condotto dalle Nazioni Unite, l’aspetto riguardante l’apporto securitario di Haftar è più propagandistico. Anche perché, in realtà nei mesi scorsi dalla costa orientale libica si era assistito a un aumento dei flussi migratori verso l’Italia, partenze da aree controllate da Haftar, in cui la sua milizia dovrebbe avere il pieno polso della situazione. Delle due, una: o effettivamente Haftar non ha il controllo che dichiara di avere (dunque non è un attore così centrale), oppure i traffici lo riguardano in qualche modo.

Esattamente un anno fa, il ministro della Difesa Guido Crosetto denunciava che la Wagner, posizionata nell’Est libico alle spalle di Haftar, sta usando una strategia ibrida per aumentare i flussi migratori in Europa. Ai tempi era ancora in vita il leader wagneriano Yevgeny Prigozhin, che aveva irriso Crosetto per le sue affermazioni. Ma il tema è di quelli destabilizzanti, in grado di polarizzare l’opinione pubblica e mettere in difficoltà i governi: Mosca sa bene che sono argomenti ancora più sensibili in questa fase pre-elettorale verso le Europee.

Sganciare Haftar dalla Russia è una delle missioni condivise da Italia e Stati Uniti. Il dialogo pragmatico serve anche a comprendere certe dinamiche da vicino e in qualche modo controllarle. Impossibile dunque non parlare con Haftar in un momento delicato come questo. Non farlo, potrebbe significare il rischio che il generalissimo, isolato, aumenti ulteriormente le sue disponibilità a Mosca, e sfrutti l’occasione per una nuova stagione di sangue in Libia, che significherebbe anche un nuovo aumento dei migranti che fuggono dal caos attraverso il Mediterraneo. Bacino in cui la Russia ambisce a una nuova base dopo quella siriana, ed è in dialogo proprio con Haftar per aprirla in Cirenaica

Piantedosi da Haftar. Il dialogo pragmatico Italia-Libia

La visita in Libia della delegazione italiana guidata dal ministro Piantedosi racconta di un approccio pragmatico che Roma intende avere anche nei confronti di Haftar. Un attore da cui potrebbero dipendere sia la stabilizzazione interna del Paese, sia i flussi migratori e anche l’influenza russa nel Mediterraneo

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