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È presente nel gruppo di contatto con l’Iran, che vedrà un rilancio a Ginevra il prossimo 15-16 ottobre. Ha patrocinato l’accordo sul disarmo chimico della Siria, imbrigliando l’iniziativa politico-militare franco-americana. Promuove attivamente una Unione euroasiatica che suona come sfida a Bruxelles e alle aspirazioni europee dell’Ucraina. Infine, intende fare dei prossimi giochi invernali di Sochi una ribalta per i successi di un Paese che vuole tornare a dire la sua.

È Vladimir Putin, lo zar della nuova Russia protagonista globale, che ha superato con successo anche la prova delle elezioni di Mosca un mese fa. E che Formiche mensile d’ottobre mette sotto la lente. Anche per capire se è possibile una Russia diversa, “l’alba di una nuova primavera”. Magari a partire da Alexej Navalny, il blogger anti-Putin che a Mosca, pur sconfitto, ha sfiorato il 30% dei voti e che secondo Anna Mazzone potrebbe raccogliere l’eredità di Anna Politovskaja, la giornalista scomoda per il regime uccisa nel 2006: sfidare “una politica gestita da pochi e mirata a tutelare gli interessi del cerchio magico dello zar”. Ma Navalny non basta: la coalizione presidenziale è forte e secondo Evgeny Utkin (che nel suo articolo prevede giustamente il ritorno sulla scena di un pezzo da novanta come Vladislav Surkov, ex ideologo della “democrazia sovrana” e tornato due giorni fa nelle file dell’Amministrazione presidenziale) è “difficile prospettarne un calo significativo prima delle prossime presidenziali del 2018”. Anche perché Putin cattura l’immaginario di un popolo che ha vissuto gli anni di Eltsin come un’umiliazione, con la stessa sovranità nazionale messa in pericolo dai venti della globalizzazione. Dunque non di dittatura, ma di “patto consensuale” attorno ad un “autoritarismo post-totalitario” si deve parlare secondo Francesco Maria Cannatà, che vede nella marginalizzazione di Medvedev il peccato originale che ha compresso, forse oltre il limite, il pluralismo delle élites.

Eppure, nonostante gli splendori e i successi di questi mesi, il domani potrebbe essere molto più incerto di quanto appare oggi.

Serena Giusti dell’Ispi intravvede sui sogni di potenza del neoputinismo le ombre di una “grave decelerazione del processo di modernizzazione” sia per il rallentamento del ciclo delle materie prime, sia per l’irrigidimento statalista. A proposito di gas Leonardo Maugeri vede il Cremlino alle prese con la “dissoluzione di un mercato di riferimento”, quello europeo, dove contano sempre più i contratti spot, il che non potrà non avere effetti sul ciclo politico di Putin. E mentre per l’esperto petrolifero italiano l’Unione euroasiatica è più propaganda che realtà, per Edward Luttwak essa va guardata con interesse come possibile integrazione regionale “se riuscirà a creare più scambi, di quanti ne distoglierà dal libero mercato mondiale”. Non sorprende in questo contesto che il “falco” Luttwak apprezzi i meriti della politica putiniana “responsabile e moderata” come nel caso Snowden, nel rapporto con l’Iran e nel contrasto al radicalismo islamico.

Tuttavia, proprio il progetto euroasiatico perseguito con rozza determinazione spaventa l’Ucraina, come ricorda Lilia Shevtsova del Carnegie Moscow Center. E dunque scava un fossato con Bruxelles. A dimostrazione che Mosca non ha ancora sviluppato un’adeguata capacità di “soft power”, secondo Jeffrey Mankoff del Csis. Un limite che riduce anche gli ambiti di cooperazione con gli Stati Uniti a pochi dossier specifici, e che dunque il Cremlino ha tutto l’interesse a superare. Naturalmente, e il consiglio è di quelli di peso (Luttwak), magari abbandonando i toni anti-americani di Russia Today, non compresi dalle classi medie che tutto sommato amano l’America.

Architrave del progetto “BRICS”, Mosca secondo Antongiulio de’Robertis è impegnata in una complessa partita tra Stati Uniti e Cina, tra Est ed Ovest, per cercare, magari in un’Onu riformata, le strade per modificare la governance globale. Insomma forse Putin non sarà il novello zar, ma certo Sergej Lavrov, il suo abile Ministro degli Esteri, si può a buon diritto chiamare erede dei Gorchakov, dei Cicerin, dei Gromyko, figure della diplomazia zarista e poi sovietica che hanno fatto grande la potenza russa nel mondo. E che l’Occidente farebbe bene a studiare. Per contrastarli, certo. Ma anche per imparare qualche lezione utile.

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