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Per il Governo, l’orizzonte del risanamento sarebbe in vista: nel 2016 dovrebbe essere raggiunto il pareggio contabile del bilancio, per la prima volta nella storia recente della finanza pubblica. Il saldo netto da finanziare avrebbe finalmente il segno positivo, per la modica cifra di 5,6 miliardi, recuperando il passivo di -38,4 miliardi del 2014 e di -10,2 miliardi del 2015. Oltre al saldo strutturale del bilancio, che viene calcolato sulle variabili macroeconomiche, anche il saldo contabile sarebbe in avanzo. Di recente c’è riuscita solo la Germania nel 2007 prima della crisi, e poi nel 2012; ma già quest’anno ha dovuto fare marcia indietro, con un saldo negativo di 11 miliardi di euro, rispetto ai -50 miliardi stimati per l’Italia.

Il condizionale è d’obbligo

Nel riferire delle previsioni di bilancio, il condizionale è d’obbligo, visto che di errori se ne sono fatti, anche di recente: basta pensare al pil per il 2014, che era stato stimato in crescita dell’1,3% ad aprile scorso, nel Def presentato dal Governo Monti, mentre l’aggiornamento del Def presentato a settembre dal Governo Letta ha ridimensionato la crescita all’1%. Il FMI, invece, ci accredita di appena un +0,7%. E questo è niente: il rapporto debito/pil per il 2014 è schizzato in alto, dal 119,3% stimato dal Governo Monti nel settembre del 2012 al netto degli aiuti all’estero, al 129,4% rivisto dal Governo Letta lo scorso settembre: un errore di oltre 10 punti percentuali in appena un anno.

Gli interessi sul debito, una strada in salita

La strada è ancora in salita: da qui al 2016, occorre recuperare 44 miliardi, cui si provvede con 23 miliardi di maggiori entrate e con 21 miliardi di minori spese. Inoltre, occorre tener conto che il peso degli interessi continua a salire: rispetto agli 83,9 miliardi stimati per quest’anno relativamente all’intero comparto pubblico, nel bilancio dello Stato per il 2014 di miliardi se ne iscrivono ben 93,4. Le spese per interessi cresceranno ancora, arrivando a 96,7 miliardi nel 2015 ed a 98,8 miliardi nel 2017. Rispetto alle entrate, che pure crescono in continuazione, passando dai 516 miliardi di ques’anno ai 537 mliardi del 2015 ed ai 539 miliardi del 2016, il peso degli interessi cresce, passando dal 18,1% al 18,3%. In pratica, ogni cinque euro pagati di tasse ne va via uno per pagare il servizio del debito.

Elementi critici da considerare

Ci sono due elementi critici: il primo è rappresentato dalla disposizione contenuta nel comma 35 dell’articolo 10 del ddl di Stabilità, in cui si prevede che il Presidente del Consiglio possa disporre con proprio decreto, da adottare entro il 15 gennaio 2015, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, variazioni delle aliquote di imposta e riduzioni della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti tali da assicurare maggiori entrate pari a 3.000 milioni di euro per l’anno 2015, 7.000 milioni di euro per l’anno 2016 e 10.000 milioni di euro a decorrere dal 2017. Le misure di cui al periodo precedente, si precisa, non sono adottate o sono adottate per importi inferiori a quelli indicati nel medesimo periodo ove, entro la data del 1° gennaio 2015, siano approvati provvedimenti normativi che assicurino, in tutto o in parte, i predetti importi attraverso il conseguimento di maggiori entrate ovvero di risparmi di spesa mediante interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica.

Dubbi sulla costituzionalità

Si tratta di una norma di dubbia costituzionalità: infatti, poiché si prevede che le variazioni alle entrate abbiano impatto sul bilancio del 2015 e seguenti, vengono violati sia il principio dell’annualità del bilancio sia due “disposizioni-parametro” recate dalla legge di riforma della contabilità dello Stato (art.11, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196), secondo cui la legge di Stabilità non può disporre “deleghe” e può prevedere variazioni delle “aliquote, delle detrazioni e degli scaglioni, con effetto di norma dal 1º gennaio dell’anno cui essa si riferisce”. Laddove la locuzione “di norma” va riferita ovviamente alla decorrenza delle variazioni, e non certo al fatto che le disposizioni possano riguardare anni successivi a quello cui si riferisce la legge di Stabilità.

Obiettivo: riduzione rapporto debito/pil

La seconda questione è rappresentata dal percorso di risanamento necessario per conseguire la riduzione del rapporto debito/pil stabilito dal Fiscal Compact. Nell’aggiornamento del Def, presentato a settembre dal Governo Letta, si esplicitano una serie di aggiustamenti rispetto al quadro a legislazione vigente: stimando un pil corrente costante, pari a 1600 miliardi di euro, ne deriva che le correzioni necessarie sono di 6,4 miliardi nel 2014, di 17,6 miliardi nel 2015 e di 33,6 miliardi nel 2016. Per arrivare all’orizzonte del 2016 con il pareggio di bilancio, la legge di Stabilità ha introdotto misure ulteriori rispetto a quelle tecnicamente necessarie per assicurare la copertura degli oneri recati dal provvedimanto, per 137 milioni nel 2014, 14,1 miliardi nel 2015 e 17,3 miliardi nel 2016. Di strada da fare ce n’è ancora tanta.

Prospettive positive

C’è una questione centrale, a questo punto, e non è rappresentata né dalla strada ancora da percorrere per conseguire gli obiettivi di pareggio di bilancio nel 2016 né dalla ambiziosa riduzione del debito che viene programmata: mentre il rapporto debito/pil è passato dal 120% del 2011 al 129,3% di quest’anno, aumentando di oltre nove punti nonostante i sacrifici o forse proprio per colpa della severità delle manovre economiche, se ne prevede la sostanziale stabilità quest’anno (con il 129%) ed una progressiva riduzione negli anni a venire: 125,7% nel 2015, 121,4 % nel 2016, 116,6% nel 2017. Rispetto a ciascun anno precedente, il rapporto debito/pil si ridurrebbe progressivamente, contraendosi dello 0,3% del 2014 rispetto al 2013, del 3,3%, del 4,3%, ed infine del 4,8% nel 2017.

La ragione di tanto ottimismo sta nelle previsioni di crescita del pil (si veda la tabella in pagina): appena +1% nel 2014, poi +1,7% nel 2015, +1,8% nel 2016, ed addirittura +1,9% nel 2017. Davvero curiose, queste previsioni così rosee: finora, ad ogni manovra restrittiva sul bilancio, ne è derivata una riduzione del pil. Da ora in avanti accadrà il contrario: il pil crescerà sempre più forte. Il tempo passa ed i governi cambiano, ma la colpa è sempre degli altri, di quelli di prima che hanno sbagliato le previsioni.

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