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In un’epoca in cui la disinformazione è diventata arma geopolitica e la radicalizzazione corre sui social network, la sicurezza nazionale si gioca anche nella dimensione cognitiva. È questa la prospettiva emersa dal convegno “Social media, estremismo e destabilizzazione: analisi della minaccia e ruolo della Socmint”, promosso dall’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici e ospitato alla Casa dell’Aviatore di Roma il 14 ottobre.

Un incontro che ha riunito rappresentanti del mondo istituzionale, accademico e della ricerca per approfondire la natura ibrida delle nuove minacce e la funzione strategica della Social Media Intelligence (Socmint) come strumento di prevenzione, analisi e contrasto all’estremismo.

Comprendere la polarizzazione digitale per prevenire l’estremismo

Ad aprire i lavori è stato Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto, che ha tracciato la cornice concettuale del dibattito: “Il seminario di oggi serve a sollevare quesiti sull’impatto dei social media sulla minaccia dell’estremismo violento, esogeno e endogeno. Vogliamo capire come evolvono i principali filoni del terrorismo in Italia, da quelli di matrice islamica a quelli di estremismo politico, e come questi attori sfruttino la struttura stessa dei social media, che per sua natura produce polarizzazione”.

Germani ha sottolineato come le piattaforme digitali non siano solo strumenti di comunicazione, ma amplificatori di tensioni sociali: “La polarizzazione muove le masse prima nell’ecosistema digitale e poi nelle piazze, ha aggiunto, come dimostra il crescente antisemitismo in tutta Europa, obiettivo delle campagne disinformative di vari attori, tra cui Mosca”.

La riflessione si colloca nel quadro più ampio delineato dall’Istituto Germani negli ultimi anni: quello di una guerra cognitiva in espansione, dove le dinamiche dell’odio e della disinformazione online diventano strumenti di destabilizzazione interna.

L’antisemitismo è una minaccia poliforme. Serve una risposta sistemica

Nel suo intervento, il generale Pasquale Angelosanto, consigliere del Presidente del Consiglio e coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, ha richiamato l’attenzione sulla persistenza strutturale dell’antisemitismo come matrice di violenza. “L’antisemitismo non è un fenomeno che riemerge solo ora. Già nel 2016 e nel 2017 si sono verificati attentati aventi come target luoghi simbolo della religione ebraica. La strategia nazionale oggi è una strategia governativa contro una minaccia poliforme, che si adatta ai contesti e che esprime la sua pericolosità seguendo varie direttrici operative”. Angelosanto ha elencato le cinque linee strategiche della risposta italiana: conoscenza della minaccia, formazione, valorizzazione della memoria, sicurezza delle comunità ebraiche e comunicazione istituzionale. “A tutto questo, ha aggiunto, si accosta la verifica dell’adeguatezza del quadro normativo. L’antisemitismo è oggi una chiave di lettura trasversale delle radicalizzazioni, perché agisce da catalizzatore emotivo e politico di diverse forme di estremismo”.

Dal terrorismo internazionale alla radicalizzazione online. Serve un ripensamento concettuale

Il dirigente generale di Pubblica Sicurezza Lucio Pifferi, direttore centrale della Polizia di Prevenzione, ha richiamato la continuità storica della minaccia terroristica eversiva, oggi declinata nella dimensione digitale. “Il nostro Paese ha affrontato gravissimi episodi di terrorismo, da Fiumicino alla Sinagoga di Roma, fino alla stagione dell’eversione interna. Oggi il rischio del terrorismo internazionale rimane un asse di attacco principale alle nostre democrazie, ma si articola attraverso il web, data la sua capacità pervasiva”. Importante è stata l’analisi della trasformazione del fenomeno: “Dai lupi solitari alla radicalizzazione online, in Europa sono molte le operazioni che hanno come obiettivo soggetti radicalizzati via rete. Oggi la principale preoccupazione è quella di arginare la diffusione di contenuti che puntano ai soggetti più vulnerabili, spesso attraverso canali web e piattaforme di gaming”. La conclusione è netta: “Assistiamo a un fenomeno di ibridazione della minaccia. Le vulnerabilità individuali e la giovane età vengono sfruttate da chi radicalizza o recluta, anche da Stati terzi. Ciò impone un ripensamento concettuale delle metodologie di contrasto, di cui il Casa rappresenta un esempio concreto”.

Viviamo in un ecosistema cyber-sociale di minacce convergenti

Il criminologo Arije Antinori, docente alla Sapienza e senior expert presso l’Eu Knowledge Hub on Prevention of Radicalisation, ha offerto una chiave di lettura accademica: “Internet deve essere inteso come un ecosistema cyber-sociale, nel quale si manifestano minacce simmetriche e asimmetriche in continuo mutamento. È un contesto di minacce convergenti, dove si intrecciano disinformazione endemica, conflitti cognitivi e dinamiche ibride”. Le minacce di carattere informativo ma anche emozionale, si fondano su processi di comunicazione orizzontale che trasformano la percezione in mobilitazione. L’odio, oggi, si diffonde come emozione collettiva, più che come ideologia organizzata.

Servono competenze interdisciplinari per capire i meccanismi degli algoritmi

Il direttore di ricerca del Cnr Antonio Scala, esperto di sistemi complessi, ha messo in luce la dimensione tecnologica della minaccia: “È necessario mettere insieme più professionalità per avere capacità di coscienza, visione e comprensione di fenomeni che sfruttano la natura dell’algoritmo e i bias cognitivi delle masse digitali”, “solo unendo competenze matematiche, sociologiche e psicologiche possiamo capire come la viralità digitale diventi meccanismo politico”, ha aggiunto il direttore.

I social come laboratorio delle alternative alla democrazia rappresentativa

 Dal mondo della sicurezza aziendale è intervenuto Giovanni Calabresi, vicedirettore della Direzione Tutela e Protezione Aziendale di SOGIN: “I social media sono stati il nuovo terreno di avanzata delle proposte alternative alla democrazia rappresentativa. Gli attori ostili e i movimenti contrari operano attraverso disinformazione e propaganda, utilizzando il linguaggio della rete per costruire consenso e polarizzazione”.

Dalla radicalizzazione alla guerra informativa

I relatori hanno delineato un quadro in cui la minaccia eversiva evolve parallelamente alla trasformazione tecnologica. Dopo il mega-attacco di Hamas contro Israele nell’ottobre 2023, la propaganda antagonista in Italia ha progressivamente radicalizzato le proteste pro-palestinesi, collegandole ad altre cause, antimilitarismo, antifascismo, anticapitalismo, ambientalismo, generando un linguaggio di conflitto sociale diffuso. Contemporaneamente, è cresciuta la minaccia dell’estrema destra suprematista e accelerazionista, che utilizza la rete per incitare alla violenza nichilista e razziale. Entrambi i fenomeni contribuiscono a un clima di agitazione permanente, alimentato da violenza verbale, antisemitismo e disinformazione.

Le ingerenze straniere e la dimensione geopolitica della disinformazione

A queste dinamiche interne si sommano le azioni di ingerenza occulta di Russia, Cina e Iran, che perseguono l’obiettivo di destabilizzare le democrazie occidentali attraverso campagne di disinformazione, manipolazione narrativa e sfruttamento delle divisioni sociali. Mosca utilizza la guerra dell’informazione come arma strategica di influenza, puntando a frammentare la coesione euro-atlantica. Pechino opera in modo più sottile, combinando diplomazia digitale e controllo tecnologico. Teheran, infine, fa leva su reti ideologiche e religiose per amplificare messaggi antagonisti e antioccidentali. L’Italia, crocevia geopolitico e informativo, diventa un osservatorio sensibile di queste dinamiche, dove confluiscono le narrative globali e le tensioni interne. Il convegno ha mostrato come la minaccia risieda negli attacchi fisici o nei network clandestini tanto quanto nelle narrazioni che deformano la percezione collettiva. La Social Media Intelligence è dunque un mezzo per preservare la lucidità strategica delle società aperte.

 

Disinformazione

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