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Servizi d’intelligence e forze dell’ordine italiani sono in “allerta massima” dopo i bombardamenti americani contro tre siti nucleari iraniani. Lo ha dichiarato Antonio Tajani, ministro degli Esteri, in collegamento con il Tg5 Mediaset, parlando di “rischi” per le presenze americane e israeliane, come basi militari e sedi diplomatiche, ma anche per i luoghi di culto ebraici. “Non abbiamo segnali di rischi diretti per il nostro Paese perché l’Iran ha sempre visto l’Italia come un Paese non tra i più ostili, seppur da sempre abbiamo condannato la costruzione delle armi atomiche”, ha spiegato ancora il ministro. Al Viminale si sono riuniti il Comitato analisi strategica antiterrorismo in mattinata e il Comitato nazionale ordine e sicurezza pubblica nel pomeriggio. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha riunito stamattina componenti del governo e vertici dell’intelligence.

Si attende una reazione di Teheran dopo gli attacchi che hanno “gravemente danneggiato” ma non distrutto il sito di Fordo, come dichiarato dagli Stati Uniti. Ma “dal punto di vista militare e dei proxy, l’Iran è oggi molto indebolito”. A spiegarlo è Luca Trenta, professore associato di Relazioni internazionali presso il Dipartimento di scienze politiche, filosofia e relazioni internazionali dell’Università di Swansea, nel Regno Unito, autore del libro “The President’s Kill List” (Edinburgh University Press).

Se ci sarà una reazione, di che cosa si tratterà?

Alla luce dell’indebolimento dell’Iran e dei suoi proxy, qualunque reazione passerà probabilmente per gli Houthi – il proxy meno danneggiato – oppure si concretizzerà in un’escalation cyber contro Stati Uniti e loro alleati. Non escludo, inoltre, ritorsioni dirette al personale statunitense in Medio Oriente, come minacciato oggi dalla TV di Stato iraniana, o la chiusura del traffico nello Stretto di Hormuz, come approvato oggi pomeriggio dal Parlamento iraniano.

Possiamo ipotizzare un attacco cinetico anche contro gli alleati degli Stati Uniti? Per esempio, contro i militari di Paesi europei presenti nella regione?

Un attacco cinetico contro gli alleati statunitensi, siano essi nella regione o meno, potrebbe avere un certo impatto ma sarebbe una mossa imprudente e disastrosa per l’Iran.

Che cosa potrebbe aver spinto l’amministrazione Trump ad agire?

L’indebolimento dei proxy iraniani potrebbe aver convinto Israele e in seconda battuta gli Stati Uniti a compiere i recenti attacchi. Inoltre, la Russia, già pesantemente impegnata in Ucraina, non vuole e non può permettersi di perdere il rapporto con l’amministrazione Trump, dunque non ha potuto fare molto.

Dopo l’attacco di stanotte, le prospettive di regime change si avvicinano o si allontanano?

Per valutare le prospettive di regime change, bisognerà monitorare le notizie che emergeranno dall’Iran nelle prossime 24–48 ore. Da una parte è vero che il regime è oppressivo e malvisto dalla popolazione, ma dall’altra un’escalation potrebbe innescare un classico effetto rally around the flag. Inoltre, il concetto stesso di regime change merita di essere chiarito. Esiste un piano? I tentativi imposti dall’alto non hanno mai avuto successo; con i boots on the ground non si è andati meglio. Nel caso dell’Iran non esiste un’opposizione interna pronta a prendere il potere. Il vero pericolo è invece un vuoto di autorità che scateni lotte intestine e vendette per torti accumulati.

La via diplomatica è in salita, se non addirittura del tutto preclusa per ora?

Per ipotizzare una soluzione diplomatica serve fiducia. Ma dopo la fine dell’accordo nucleare Jcpoa e tutto ciò che è successo, quale incentivo avrebbe l’Iran a sedersi al tavolo con gli Stati Uniti? La Russia, invece, non dispone certo della leva necessaria. Le potenze regionali, infine, sono da sempre più vicine a Washington che a Teheran, elemento che fa venire meno la fiducia da parte dell’Iran.

Tra proxy e cyber, come reagirà l’Iran. Parla Trenta (Swansea)

Le ipotesi sul tavolo di Teheran secondo Luca Trenta, professore all’Università di Swansea: proxy (Houthi in primis), attacchi cyber, ritorsioni al personale Usa in Medio Oriente, chiusura dello Stretto di Hormuz

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