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Il capitalismo è diventato noioso. E c’è una perfetta analogia tra l’annoiarci del capitalismo e l’involuzione del tennis. Dagli anni 90 a questa parte alla rarefazione della domanda nei mercati maturi e consolidati di quello che tutt’oggi è denominato come Occidente, è corrisposta una rafazazione del tennis. Mi si perdoni il neologismo e il tirare in ballo il simpatico Majorchino ma questo è.
Alla tecnica è subentrato il muscolo. Alla manifattura del colpo-prodotto è subentrata la finanza, quello che i fissati dell’economia, quelli che non ne indovinano mai una prima che succede, chiamano turbo-capitalismo.

Il tennis, che era l’esaltazione dell’astuzia, della volee, del lob, che era l’individualismo, la metafora della vita che in ogni partita compiva il suo ciclo, è diventato pornografia. Bell’imbusti che fanno sulla bilancia 3, 4 McEnroe o 2,3 Borg, si prendono a pallate per ore senza una variazione sul tema se non l’aumento, fino ai limiti del buon Magnus, della rotazione impressa alla pallina. E così, partita dopo partita, è un continuo tie break con cui si pratica l’eutanasia del set che non finirebbe mai.
E c’è perfetta analogia con il capitalismo perché, a furia di mettere in ordine le partite correnti con i risconti attivi e con la gestione straordinaria sempre più pingue rispetto a quella ordinaria, si tira avanti fino al tie break che i commercialisti chiamano amministrazione controllata.

C’è perfetta analogia perché a guardare come sono cambiate le tappe dell’ATP tour nel mondo, non solo si scopre come è cambiata la geografia dei piccioli, ma si ha evidenza di come è noioso un capitalismo che non inventa più nulla ma espande solo modelli consolidati.
E così Kuala Lampur, Doha, Abu Dhabi, alcune della ultimissime località dove fa tappa l’eccellenza noiosissima del tennis mondiale, sono città noiosissime senza capo né coda, lande buone per fare piccioli replicando il modello: l’aeroporto spaziale, la metropolitana galattica, il Museo, il teatro d’opera, il fiume artificiale, il castello inglese, la laguna tipo Venezia. Insomma città un po’ parco giochi, uscite dal gioco da tavolo che non hanno ancora inventato “il piccolo muratore” dove le più grandi imprese di costruzioni del mondo e le archistar si possono sbizzarrire a fare quelle cose che nell’Occidente maturo sarebbero più complicate da fare. Perché costerebbe di più la manodopera. Perché la maturità nel capitalismo vuol dire maggiore sicurezza nei cantieri ad esempio e quindi tutta una burocratizzazione fatta di permessi e procedure che altrove non sono richiesti.

E non mi si venga a dire, buggerandomi nell’analogia, che se le imprese prendessero più la rete avrebbe più successo. Perché, se è vero che il tennis è noioso perché oggi a rete non va più nessuno tranne Federer se si sveglia bene la mattina, chi gioca a tennis lo sa, ci vuole un bel colpo da fondo da seguire per poter poi chiudere la volee, a rete. E quindi, cari gli opinion leader che parlate dell’America all’americana, con tanto di start-up, maker, innovation, VC, Vqui , non basta mettersi sotto web senza un buon prodotto lanciato profondo sul mercato emergente.

Il tennis come il capitalismo è diventato noioso perché le tappe dell’ATP tour sono diventate per ogni città che li ospita l’evento con cui fare piccioli, piccioli per mantenere una struttura fatta di impianti, cemento, acciaio e cristiani che va sfamata per 54 settimane all’anno con un evento che ne dura al massimo 3. Eventi dove gli organizzatori, come troppi uomini d’affari non si augurano mai le sorprese ma che in finale arrivino le prime due teste di serie. Tant’é.

Il capitalismo è noioso quanto il tennis

Il capitalismo è diventato noioso. E c’è una perfetta analogia tra l’annoiarci del capitalismo e l’involuzione del tennis. Dagli anni 90 a questa parte alla rarefazione della domanda nei mercati maturi e consolidati di quello che tutt’oggi è denominato come Occidente, è corrisposta una rafazazione del tennis. Mi si perdoni il neologismo e il tirare in ballo il simpatico Majorchino…

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