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La gestione dell’Inps da parte del presidente Tridico è ciò che è più lontano dalla mia sensibilità personale e professionale. Nelle sue scelte ho visto una politicizzazione dell’Istituto che ho sempre voluto contrastare negli anni in cui ho avuto l’onore di servire il Paese da presidente e commissario dell’Inps. Ho sempre creduto che si potesse guidare il più grande ente pubblico nella logica della managerialità che non ha colore politico, ma che ha solo l’obiettivo della qualità del servizio e dell’efficienza amministrativa.

Di più: non ho mai nascosto la mia convinta contrarietà alla misura demagogica (e costosa) del Reddito di cittadinanza. Eppure, non comprendo (e non condivido) la personalizzazione delle accuse rivolte a Pasquale Tridico da Tommaso Foti, presidente del gruppo parlamentare di FdI, che ha proposto di istituire – a proposito del Reddito di cittadinanza – una commissione d’inchiesta, “limitando la responsabilità a Tridico per non avere consapevolmente attivato i controlli, al fine di non far perdere consenso elettorale e personale ai suoi mandanti”.

Uno dei primi effetti di questa personalizzazione lo si è visto nella conseguente personalizzazione delle proteste (e delle minacce) che hanno avuto per oggetto il direttore Inps della Campania. Detto per inciso, molti mi accusarono proprio di personalizzazione, ai tempi del mio impegno al vertice dell’Inps. Ma in quel caso per me personalizzare era un modo di garantire la massima tranquillità operativa dei 30mila dipendenti dell’Istituto, degni di essere rispettati e apprezzati per una professionalità e dedizione quasi sempre fuori da ogni dubbio (le eccezioni confermano solo la regola).

L’Inps è una macchina complessa e “vigilata”. C’è un presidente di sezione della Corte dei Conti che vive quotidianamente nell’Istituto, con pieno e diretto accesso a tutti gli atti dell’ente. Ci sono due ministeri vigilanti (Mef e Lavoro). Non solo, il ministro del Lavoro, all’epoca Luigi Di Maio, oltre che vantarsi di avere imposto Tridico alla guida dell’Istituto, ebbe modo di celebrare la fine della povertà, proprio in coincidenza dell’approvazione del Reddito di cittadinanza. E oggi – con l’avallo del governo Meloni – gode di un ruolo internazionale di spicco (e ben remunerato). Non è stato solo il “mandante politico” di Tridico, ma aveva la piena responsabilità di vigilanza sugli atti dell’Istituto, come ministro del Lavoro.

Ci sono i componenti del Consiglio di amministrazione (tutti personaggi autorevoli e influenti nella politica e nelle relazioni personali e familiari), che risulta – parola di Tridico, mai smentita – abbiano approvato sempre tutto all’unanimità. Ci sono i sindaci. Ci sono i dirigenti, a partire dall’apice – il direttore generale è capo della Tecnostruttura – fino ai ruoli dei dirigenti generali che hanno responsabilità organizzative non delegabili (fino alla responsabilità erariale). E prima ancora ci sono tutti i responsabili politici che hanno promosso, deciso, e fatto applicare la norma che riguarda il Reddito di cittadinanza, che avrebbero potuto (e dovuto) verificare gli atti amministrativi conseguenti.

Possibile che dell’applicazione della norma possa essere responsabile solo il presidente? Poco importa che Pasquale Tridico sia il “padre putativo” della prestazione assistenziale ora nel mirino. La macchina politica e amministrativa che ha seguito lo sviluppo e l’approvazione prima, e poi l‘applicazione operativa di questo provvedimento è complessa, plurale e collettiva.

Vogliamo istituire una commissione d’inchiesta sul Reddito di cittadinanza? Ben venga. Credo che siano stati sprecati molti denari degli italiani, per una politica di welfare discutibile nell’ideazione e nella gestione, ma difficile credere che ci sia una sola responsabilità personale. Una commissione d’inchiesta dovrebbe avere un obiettivo largo, per indicare tutte le responsabilità di un grande danno erariale (se danno c’è stato).

Con lo stesso obiettivo si potrebbe (dovrebbe?) costituire analoga commissione di inchiesta sul grande scandalo del 110%. Già il Governo Draghi ne certificò le deviazioni e i danni. Non si deve avere paura delle commissioni di inchiesta se si tratta di vere indagini, e non di vendette personali e politiche. Chi sbaglia deve pagare. Ma dovrebbe valere per tutti.

Non personalizziamo le accuse rivolte al Reddito di cittadinanza. L'opinione di Mastrapasqua

Istituire una commissione d’inchiesta sul Reddito di cittadinanza? Ben venga. Ma è difficile credere che ci sia una sola responsabilità personale. Una commissione d’inchiesta dovrebbe avere un obiettivo largo, per indicare tutte le responsabilità di un grande danno erariale (se danno c’è stato). Il commento di Antonio Mastrapasqua

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