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La deadline è la fine di agosto. I 160 mila sms che comunicano ai nuclei percettori di reddito di cittadinanza la sospensione della misura sono già partiti. Ora l’istituto di previdenza si accinge a mandarne altri 80mila. Benché la revisione del sussidio grillino fosse uno dei punti programmatici dell’attuale esecutivo, l’avvio delle sospensioni sta generando un’ondata di polemiche da parte delle opposizioni.

Il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte in tandem con l’omologa del Partito democratico, Elly Schlein, chiede al governo di riferire in Parlamento. Nel frattempo, a Napoli, è stato organizzato un sit-in di protesta verso l’esecutivo. Iniziativa che, tuttavia, ha avuto un tono di gran lunga al di sotto delle aspettative degli organizzatori.

Anche perché, come sostiene più di qualcuno, il governo rivedendo il reddito di cittadinanza – e prevedendo invece l’assegno d’inclusione a partire da gennaio 2024 – ha imboccato la direzione giusta. Tra chi sostiene la bontà di questa iniziativa c’è senz’altro l’Istituto Bruno Leoni. Anzi, dal think tank liberale arriva una sollecitazione al governo affinché non abbia cedimenti e prosegua verso la rimodulazione del sussidio.

“La scelta del governo di ridimensionare il reddito di cittadinanza ha acceso un nuovo fronte di conflitto sociale – scrivono da Ibl -. Ci sono vari aspetti da considerare. Alcuni sono di puro folklore: la polemica sull’sms lascia il tempo che trova. Se la notizia fosse stata trasmessa per raccomandata sarebbe cambiato qualcosa? Purtroppo non esiste alcun modo per indorare la pillola e nessuno si nasconde che si tratti di una decisione difficile. Tuttavia, e qui arriviamo al secondo punto, si tratta anche di una manovra necessaria perché il reddito di cittadinanza, per come era stato disegnato dal governo gialloverde, era costoso e dannoso”.

Esso poggiava, in teoria, su due gambe, scrivono dall’Istituto. “Una gamba assistenziale – osservano – e una legata al sostegno ai beneficiari nella ricerca di un lavoro. Il nesso tra queste due gambe doveva essere garantito dalla minaccia di perdere il reddito in caso di ripetuti rifiuti di offerte di lavoro. Ma questa minaccia è stata spuntata fin dall’inizio: e non solo perché la macchina della formazione e ricollocazione non si è mai realmente messa in moto”.

E qui arriva il plauso all’esecutivo perché ha fatto bene a “distinguere nettamente questi due aspetti, mantenendo uno strumento assistenziale a supporto dei poveri e creandone di nuovi per aiutare nella ricerca di un’occupazione chi non ce l’ha”. Un passaggio rilevante, che per come era in precedenza concepito il sussidio, chiaramente, mancava.

Naturalmente, come in tutte le cose, “ci sono spazi di miglioramento – analizzano dal think tank – : i sindaci possono avere alcune ragioni, nel qual caso occorre metterli nella condizione di operare. Va anche detto che i sindaci sapevano da tempo che tutto questo sarebbe accaduto: è abbastanza significativo che nessuno abbia sollevato il problema fino all’ultimo momento”.

Sempre che, naturalmente, “non sia un paravento dietro cui nascondere la speranza di evitare una responsabilità che, invece, è logico e razionale che ricada sugli amministratori locali. Ciò detto, si può discutere di aggiustamenti a questo o altri aspetti, tra cui la quantificazione del rdc in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, purché non si ritorni alla logica del sussidio incondizionato e uguale per tutti”.

In buona sostanza, “ci sono mille interventi che il governo potrebbe fare per affinare il rdc – chiudono dal Bruno Leoni -. Quello che Palazzo Chigi dovrebbe evitare è cedere alle pressioni della piazza e ripristinare, anche solo parzialmente, un meccanismo che in questi anni ha dimostrato di essere puramente assistenziale e che, probabilmente, alimenta disoccupazione e lavoro nero”.

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