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Anche se in modo meno appariscente e senza grandi svolte, la controffensiva ucraina continua ad andare avanti. E si interseca all’interno della dimensione acquatica: Mar Nero e fiume Dnipro rappresentano infatti le nuove linee del fronte degli ultimi giorni.

All’indomani dell’invasione russa del febbraio 2022, le necessità strategiche hanno impedito a Kyiv di poter contendere efficacemente il controllo del Mar Nero alle forze nemiche: dopo aver perso più di due terzi dei propri vascelli di superficie in seguito all’occupazione lampo della penisola di Crimea nel 2014, la marina ucraina non aveva i mezzi sufficienti per far fronte alla Flotta del Mar Nero moscovita. Il necessario autoaffondamento nel marzo dell’anno scorso della Hetman Sahaidachny, la nave ammiraglia della marina ucraina, per prevenire una sua caduta in mani russe, simboleggia l’impossibilità di Kyiv, in quel momento della guerra, di esercitare una minima forma di power projection marittima. Ma già pochi mesi dopo, l’affondamento dell’incrociatore Moskva segnalava che il dominio russo del Mar Nero era tutt’altro che assoluto.

Oggi l’Ucraina è tornata a combattere nelle acque del Ponto Eusino. E lo fa principalmente grazie ai droni, sia aerei che navali. Mentre i primi vengono utilizzati per attaccare infrastrutture logistiche, i secondi sono impiegati per attaccare direttamente le imbarcazioni di Mosca. Non solo veri e propri vascelli da combattimento, come nel caso della nave d’assalto anfibio danneggiata durante la recente incursione nel porto di Novorossiysk, ma anche petroliere e altre navi da trasporto. Con l’obiettivo di creare un effetto di sea denial.

Ma le conseguenze vanno oltre la dimensione militare, come dimostrano altri attacchi simili condotti in passato. Secondo i dati disponibili, l’attacco di un drone al ponte di Crimea a luglio ha ridotto drasticamente il numero di transiti navali nel Mare d’Azov, appena a nord del ponte, mentre gli scali portuali sono diminuiti di oltre la metà a Novorossijsk in seguito a un attacco al porto a novembre. “Penso che il messaggio sia quello di dire che nulla è sicuro”, ha detto Gabriela Iveliz Rosa Hernández, ricercatrice associata all’Associazione per il controllo delle armi che studia principalmente le Forze Armate dell’Europa orientale. “È l’Ucraina che ricorda alla Russia che non c’è normalità”.

La controffensiva di Kyiv passa dunque anche dal mare. Ma anche sulla terraferma ci sono indizi che le cose si stiano smuovendo. Il fiume Dnipro rappresenta un baluardo della linea difensiva russa nel tratto del fronte che va dalla sua foce fino alla regione di Zaporizhia: un attraversamento in massa di questo corso d’acqua sarebbe infatti estremamente difficile e costoso per le forze di Kyiv, che si troverebbero ad essere bersagli di artiglieria, elicotteri e droni russi in un momento di totale vulnerabilità. Tuttavia, nell’ultima settimana Kyiv avrebbe impiegato squadre di commandos per stabilire tante piccole teste di ponte oltre il fiume,specialmente nell’are vicino alla città di Kherson, sulla falsa riga di quanto fatto un mese fa nei pressi del ponte Antonovsky.

Posizioni che si rivelerebbero fondamentali se le forze armate ucraine decidessero di lanciare un grande attacco volto ad attraversare il fiume. O anche se fingessero di farlo, mettendo in atto una manovra diversiva. Attirare altre truppe russe per difendere la linea del Dnipro potrebbe portare l’Ucraina a migliorare la situazione di vantaggio relativo altrove, in particolare più a est, dove Kyiv spera di sfondare per tagliare il collegamento terrestre tra la Crimea occupata dalle forze russe e il territorio della Federazione.

“Le forze armate ucraine sperano che il raid di Kherson metta i russi di fronte a un dilemma: se l’Ucraina intende fare qualcosa di più significativo a Kherson o attingere alle riserve russe” è il commento del generale di divisione dell’esercito australiano e stratega militare Mick Ryan.

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