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C’era una volta la globalizzazione. E ora c’è l’autonomia strategica. Come a dire, è meglio brillare e vivere di luce propria piuttosto che dipendere dalla forniture altrui. La guerra in Ucraina insegna. Di questo si è parlato in occasione della presentazione del volume “Catene di fornitura tra nuova globalizzazione e autonomia strategica”, realizzato e curato dal Centro Studi di Confindustria. Un evento che ha visto la presenza corale di esperti ed economisti, unitamente al presidente di Confindustria, Carlo Bonomi (qui il racconto dell’ultima assemblea annuale degli Industriali) e del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Tutto parte da un assunto. E cioè che “l’iper-globalizzazione dei primi anni duemila ha lasciato il posto a una fase di globalizzazione lenta (slowbalization). Tuttavia, la globalizzazione resta profonda e complessa, con dinamiche eterogenee lungo le sue molteplici dimensioni. L’intensità degli scambi mondiali di beni si è rafforzata, in rapporto alla produzione industriale. Rispetto al Pil, invece, è frenata dalla terziarizzazione dei paesi emergenti e dipende dalle fluttuazioni nei prezzi delle commodity”, è la premessa dell’opera.

“La crisi russa ha ampliato le distanze politiche tra Stati Uniti e potenze asiatiche emergenti (Cina e India su tutte), spingendo verso una globalizzazione selettiva tra Paesi amici. Si inseriscono in questo quadro le politiche per l’autonomia strategica dell’industria europea. Esistono evidenti segnali di disaccoppiamento (decoupling) nelle traiettorie tecnologiche, legate alla transizione verde e digitale di Stati Uniti e Cina. Dal 2018 la quota di mercato cinese negli Usa si è ridotta di quattro punti percentuali. Tale diminuzione è il risultato di dinamiche profondamente diverse degli acquisti americani di specifici prodotti cinesi, per esempio una forte riduzione di supporti elettronici e un aumento altrettanto forte delle batterie a litio”, spiegano dal Centro Studi di Viale dell’Astronomia.

Insomma, la globalizzazione, è in crisi perché non tutti i Paesi viaggiano alla stessa velocità. E l’Europa, che sta nel bel mezzo di Cina e Stati Uniti? “La tensione tra apertura commerciale e autonomia nazionale accompagna la storia delle relazioni economiche tra stati. L’Unione europea è nata per assicurare libero accesso a prodotti strategici e il modello di sviluppo italiano si è sempre fondato sull’attività manifatturiera, cioè di trasformazione di materie prime e semilavorati anche importati. Dunque, in un mondo poli-crisi e politicamente frammentato, emerge la necessità di rafforzare le catene di fornitura, specie in produzioni strategiche, come quelle che guidano la transizione green e digitale”.

In tal senso, la Commissione europea, nell’ambito dell’obiettivo di Autonomia Strategica Aperta, ha avviato uno studio delle vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, per elaborare politiche industriali mirate. E il Centro Studi Confindustria, espandendo l’analisi della Commissione, “ha identificato con un elevato livello di dettaglio merceologico le dipendenze critiche, o vulnerabilità, dei paesi Ue dall’estero, anche in confronto con quelle di Stati Uniti e Cina. I criteri di selezione dei prodotti critici riguardano: la diversificazione geografica dell’import, la sostituibilità con l’export e, per i paesi europei, la sostituibilità con gli scambi intra-area”.

Nell’ultimo decennio circa l’8% delle importazioni europee (dai mercati extra-Ue), in valore, risulta critico. Riguardano 380 prodotti circa, poco meno dell’8% di tutti quelli acquistati all’estero. In particolare, l’Unione europea è vulnerabile soprattutto nelle filiere dell’ICT (Information and communication technology) e, in misura minore, dell’agro-alimentare e tessile. “Tuttavia, le dipendenze europee risultano minori, in numero e valore dei prodotti (sul totale), di quelle degli Stati Uniti e della Cina. Inoltre, l’import critico Ue è piuttosto stabile nell’ultimo ventennio, a fronte di una crescita di quello di Cina e Usa. Rilevanti, invece, sono i cambiamenti per quanto riguarda i Paesi di fornitura prevalenti. La Cina è sempre più la fonte principale delle vulnerabilità degli Stati Uniti e, soprattutto, dell’Unione europea. Nel complesso, quindi, le dipendenze critiche europee sono il risultato di scelte di lungo periodo di specializzazione e riallocazione delle filiere produttive internazionali, connesse alla crescita dei paesi emergenti, Cina in testa”.

Una conclusione. “Nella definizione delle politiche europee è necessario individuare le criticità del sistema industriale, distinguendo tra materie prime e semilavorati, per promuovere scelte strategiche (anche in tema di estrazione e circolarità). In particolare, occorre: favorire l’integrazione europea nei segmenti di mercato già coperti (estrazione, prima e seconda trasformazione, prodotti finiti), definire obiettivi tecnologicamente raggiungibili, con lo stanziamento di risorse europee adeguate e individuare e rafforzare le filiere prioritarie, anche grazie ad accordi di collaborazione industriale con paesi terzi”.

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