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Aumentare l’assistenza umanitaria a Gaza, approfondire i passaggi verso la prossima fase della guerra (quella che vedrà la fine dell’invasione e l’inizio della caccia mirata ai leader di Hamas, e non solo), compiere passi avanti per le tregue tattiche (mediate dal Qatar) con cui liberare gli ostaggi rimasti in mano ai terroristi palestinesi, continuare a controllare l’escalation nella diffusione regionale, proseguire il dialogo per il futuro della Striscia.

Se questi, descritti direttamente dal dipartimento di Stato, sono gli obiettivi dichiarati della quarta visita mediorientale del capo della diplomazia americana, il segretario di Stato Antony Blinken, è il contesto a rendere tutto necessario, quasi “di emergenza”, come dicono fonti statunitensi: “Gli equilibri attorno alla guerra israeliana a Gaza stanno scricchiolando, e la presenza americana è necessaria”. Doveva partire sabato, ma ha anticipato di due giorni il kick-off del tour diplomatico.

L’amministrazione Biden non è contenta del senso che ha preso la guerra, dei risultati, della narrazione e del coinvolgimento che tutto questo sta imponendo all’America. Quattro giorni fa una dichiarazione del dipartimento di Stato, seguita anche dall’ambasciatrice all’Onu, è stata più che chiara: “Gli Stati Uniti respingono le dichiarazioni provocatorie e irresponsabili dei ministri israeliani [Bezalel] Smotrich e [Itamar] Ben Gvir. Non dovrebbe esserci alcuno spostamento di massa dei palestinesi da Gaza”.

Non è usuale che due ministri di un Paese sovrano alleato vengano criticati così apertamente e duramente dalle istituzioni statunitensi, ma la linea presa dai kahanisti (gli alleati estremisti del premier Banjamin Netanyahu) è insopportabile per Washington. Tutto a pochi giorni dalla frustrante telefonata avuta da Joe Biden con il premier israeliano.

Tutto soprattutto in un contesto in cui il corridoio del Mar Rosso che collega Europa e Asia rimane bloccato dagli attacchi degli Houthi yemeniti, che armati dagli iraniani hanno messo a ferro e fuoco l’Indo Mediterraneo come forma di appoggio alla causa palestinese; l’Iran piomba nell’incubo terroristico e accusa Cia e Mossad di essere pianificatori occulti dell’attacco dell’Is a Kerman; l’assassinio mirato del numero due dell’ufficio politico di Hamas, che viveva protetto in Libano, fronte da cui il leader spirituale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, promette vendetta tornando a parlare in pubblico; gli americani sono costretti a colpire in Iraq uno dei capi delle Forze di mobilitazione popolare, leader di una milizia sciita che ha attaccato in questi mesi dozzine di volte gli interessi Usa nel Siraq.

È in questa sovrapposizione di sensibilità già violate che si inserisce la visita di Blinken (bonus: gli americani sono sicuri che la Russia abbia iniziato ad acquistare missili balistici iraniani per colpire in Ucraina, dove sta già usando armi nordcoreane). Sotto quest’ottica, oltre ai passaggi in Israele e Cisgiordania, e nel Golfo, diventa importante anche il doppio step Grecia-Turchia. Atene e Ankara devono mantenere equilibrio nel Mediterraneo orientale che affaccia sul fronte caldo del caos mediorientale, con i turchi che possono giocare un ruolo regionale molto ampio.

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