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Il mondo trattiene il fiato in attesa del summit tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin, fissato per il 15 agosto 2025 in Alaska.

Annunciato da Trump lo scorso venerdì, l’incontro mira a discutere la fine della guerra in Ucraina, con il tycoon che ha dichiarato di voler “sentire” le intenzioni di Putin per una pace rapida. Il luogo non è ancora precisato, ma un Notam ha chiuso lo spazio aereo su Anchorage dal 15 al 16 agosto per “movimenti Vip”. Si tratta del primo viaggio di Putin negli Usa dal 2018, e il primo faccia a faccia con Trump dal suo ritorno alla Casa Bianca.

Attenzione però, il significato del vertice va ben oltre il sanguinoso conflitto “locale” in territorio ucraino, ma ci arriviamo tra poco.

Gli aggiornamenti sono frenetici: Trump ha parlato di possibili “scambi di terre” per risolvere linee di confine “irregolari”, ma ha escluso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, definendo l’incontro un “feel out meeting” per testare la volontà russa di pace.  Zelensky ha reagito duramente: “Nessuna decisione sull’Ucraina senza di noi”, mentre le forze russe avanzano in Donbass, con guadagni significativi vicino a Kramatorsk, forse per rafforzare la posizione negoziale di Mosca. L’Ue, con 26 Stati firmatari (escluso Orbán), ha avvertito contro ridisegni forzati dei confini ucraini, promettendo sostegno militare a Kyiv. La Cina osserva da vicino, mentre esperti Usa criticano l’approccio “amatoriale” di Trump, privo di preparazione diplomatica.

Per capire cosa sta succedendo occorre quantomeno considerare tre aspetti chiave in vista del vertice.

Primo: l’Alaska simboleggia la volontà di discutere temi futuri. Ex colonia russa venduta agli Usa nel 1867, evoca legami storici, ma soprattutto proietta sull’Artico, sfida geopolitica del secolo. Con il riscaldamento globale che apre rotte marittime e risorse (petrolio, minerali), la regione è contesa tra Usa, Russia e Cina. Mosca ha militarizzato l’area con basi e flotte, mentre Washington rafforza la presenza Nato. Il summit segnala che Trump e Putin intendono negoziare sfere d’influenza polari, oltre l’Ucraina, per evitare escalation future.

Secondo: l’ipotesi di invitare Zelensky è del tutto sbagliata. Usa e Russia vogliono mostrare al mondo un ritorno al dialogo bilaterale, diverso dal “tavolo della pace” per Ucraina e Russia. Trump ha chiarito: non è una negoziazione tripartita, ma un sondaggio diretto con Putin per capire se Mosca è pronta a un accordo. Escludere Kyiv enfatizza che Washington e Mosca riprendono a parlarsi su temi globali – nucleare, energia, sicurezza – senza intermediari. Zelensky lo ha ammesso: l’incontro riguarda solo relazioni Usa-Russia, non decisioni su Ucraina. È un messaggio a Europa e Cina: i giganti tornano a dettare regole.

Terzo: la potenza muscolare resta decisiva. Le avance russe pre-summit dimostrano che la forza conta più delle sanzioni. Trump, con la sua retorica “peace through strength”, lo sa: ha promesso di dire a Putin “basta guerra”. Per l’Europa, è un campanello d’allarme: dipendente da Usa per difesa, deve ripensare il suo ruolo internazionale. Aumentare spese militari, unificare politiche estere, ridurre dipendenza energetica dalla Russia. Altrimenti resta spettatrice in un mondo dove muscoli e risorse dettano legge.

Questo summit potrebbe ridisegnare mappe e alleanze. Resta da vedere se porterà pace o solo una tregua fragile. L’Artico, l’Ucraina e l’uso della forza a livello globale: temi che definiscono quantomeno il presente.

Alaska, istruzioni per l’uso. Scrive Arditti

Questo summit potrebbe ridisegnare mappe e alleanze. Resta da vedere se porterà pace o solo una tregua fragile. Ma per capire cosa sta succedendo occorre considerare tre aspetti chiave in vista del vertice. Ecco quali secondo Roberto Arditti

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