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Difendere l’interesse nazionale e le nostre industrie strategiche. Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo e vice presidente di Ecr Party, va dritto al punto della sfida rappresentata dalla sovranità tecnologica. Ovvero le società strategiche partecipate dallo Stato, che in alcuni casi hanno nelle proprie compagini soci di Stato cinesi, devono essere messe nelle condizioni di diventare sempre più partner strategici in un rinnovato legame transatlantico.

Realtà esterne e di un certo peso stanno silenziosamente defraudando l’Italia delle sue preziose tecnologie?

La sfida della sovranità tecnologica è decisiva, per l’Italia, l’Europa e l’Occidente. In questo tempo di guerra ibrida non possiamo permettere che all’egemonia sulle terre rare si sommi quella sulle tecnologie da cui dipendono la nostra sicurezza, la nostra privacy, la nostra competitività industriale. Per questo il governo fa un uso deciso e ponderato dello strumento del golden power, essenziale per difendere l’interesse nazionale e le nostre industrie strategiche.

Bloomberg parla della possibile diminuzione di presenza cinese in soggetti industriali italiani come Pirelli, Ansaldo e Cdp reti: che ne pensa?

La vicenda Pirelli è nota e il governo ha attivato la procedura sul socio cinese Sinochem. Le preoccupazioni sulle cyber tyres sono comprensibili e le conseguenti restrizioni sul mercato americano un danno per l’azienda. Le società strategiche partecipate dallo Stato, che in alcuni casi hanno nelle proprie compagini soci di Stato cinesi, devono essere messe nelle condizioni di diventare sempre più partner strategici in un rinnovato legame transatlantico.

Si può essere interlocutori della Cina, senza per questo legarsi mani e piedi, come fatto da Conte con la Via della Seta?

Il governo Meloni ha reimpostato il rapporto con la Cina nel giusto binario, abbandonando la Via della Seta su cui inopinatamente Conte aveva portato l’Italia – unica nazione del G7 e unico tra i grandi Paesi dell’Ue – e rilanciando un sano rapporto commerciale. La bilancia commerciale tra Italia e Cina è ancora troppo squilibrata a nostro svantaggio ma la Cina rimane un mercato di sbocco importante per molti nostri prodotti. Questo però non può avvenire in cambio di un via libera a una penetrazione economica come quella che Pechino ha attuato in altri quadranti europei come i Balcani e in altri continenti.

Come si intreccia questa possibile decisione con la posizione dell’Italia nel contesto internazionale, come soggetto globale?

Ho sempre pensato che, dietro e oltre la partita dei dazi, l’America di Trump ci stesse chiamando a una scelta di campo nella grande sfida globale tra Usa e Cina. L’Ue ha purtroppo compiuto molti errori in questi anni, prima indebolendosi sul piano della competitività e favorendo le delocalizzazioni, poi aggravando il quadro con una transizione green ideologica che ci ha reso di fatto i principali fautori dell’egemonia globale cinese. Dobbiamo capire che nella strategia dei dazi di Trump c’è anche la volontà di riorientare le catene del valore e anche noi europei dobbiamo fare questa scelta: catene più corte e affidabili, preferibilmente occidentali, sono il luogo dove il Made in Italy può ancora conquistarsi un grande spazio. Nonostante i dazi, in qualche settore addirittura grazie ai dazi più alti imposti dagli Usa a Cina e India. Siamo una grande nazione, grazie alle politiche di sostegno all’export del governo Meloni siamo il quarto Paese esportatore a livello mondiale: se saremo capaci di far crescere filiere sempre più integrate – penso ad esempio alla componentistica meccanica – potremo ritagliarci un grande ruolo e respingere i segnali di difficoltà che ci arrivano dall’onda lunga della crisi tedesca.

Alla luce di accordi one to one come quello tra Macron e Xi, l’Italia come potrà recitare un ruolo centrale in Ue per rafforzare le relazioni con gli Usa?

Sbaglia chi, per fare dispetto a Trump, vuole riconsegnare l’Europa nelle mani della Cina. Basterebbe un po’ di onestà intellettuale per ammettere che il più grande squilibrio nel commercio globale è stato causato non dai dazi di Trump ma dall’ingresso della Cina nel Wto. Non a caso, pochi mesi prima del ritorno di Trump, l’Ue aveva alzato a dismisura i dazi sulle auto cinesi. L’Italia quindi deve continuare a spingere per un cambio di passo europeo: rivedere tempi e regole della transizione green, piena neutralità tecnologica e non solo elettrificazione, filiere europee competitive, accordi con fornitori affidabili di energia e terre rare, preferenza europea negli appalti Ue, disboscamento del groviglio infernale di regole che hanno incatenato le imprese europee. Siamo all’ultima chiamata: ci auguriamo che l’Ue sappia ascoltare Giorgia Meloni, l’unica leader europea che ha da tempo capito la reale posta in gioco.

Sbaglia chi, per fare dispetto a Trump, vuole consegnare l’Europa alla Cina. La versione di Fidanza

Intervista al capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo e vice presidente di Ecr Party: “Il governo Meloni ha reimpostato il rapporto con la Cina nel giusto binario, abbandonando la Via della Seta”, ma non solo. I dazi? “Trump vuole riorientare le catene del valore, anche noi europei dobbiamo fare questa scelta: catene più corte e affidabili, preferibilmente occidentali, sono il luogo giusto per diffondere il made in Italy”

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