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Un’ancora di sei tonnellate. Ecco la responsabile della rottura del gasdotto Balticconnector che unisce Estonia e Finlandia, avvenuta l’8 ottobre scorso nella zona economica esclusiva finlandese. L’ancora, recuperata dalle autorità di Helsinki che indagano sull’accaduto, apparterrebbe alla portacontainer “Newnew Polar Bear”, una nave di 23.000 tonnellate battente bandiera di Hong Kong di cui non si conosce la proprietà effettiva – ma di probabili legami russi. A incastrarla sarebbero i dati di navigazione, che mostrano come la Newnew Polar Bear si trovasse in prossimità del luogo dell’incidente insieme alla nave russa Sevmorput. La portacontainer cinese ha rallentato proprio in corrispondenza del gasdotto, prima di raggiungere il porto di San Pietroburgo ma, essendo rimasta al di fuori delle acque territoriali, non è stata possibile nessuna ispezione da parte delle autorità finlandesi. L’aspetto fondamentale da chiarire è se si sia trattato di un atto accidentale – un’opzione poco probabile – o di un sabotaggio intenzionale. Quello che è certo è che il gasdotto difficilmente potrà tornare operativo prima di aprile 2024, privando così i due Paesi di un’infrastruttura energetica di grande importanza nel momento più delicato dell’anno, ovvero all’arrivo dell’inverno.

Infrastrutture critiche, ma fragili

L’evento del Balticconnector si inserisce in una lunga serie di danni alle infrastrutture sottomarine europee. Negli stessi giorni, infatti, si è registrato un danno al cavo sottomarino di telecomunicazione tra Svezia ed Estonia, anch’esso posato sul fondo del Mar Baltico, un danno causato da un impatto fisico esterno. Anche in questo caso le autorità sono chiamate a chiarire se si sia trattato di un incidente o di un attacco. I cavi sottomarini – e in misura minore gasdotti “piccoli” come Balticconnector – sono infrastrutture tanto strategiche quanto fragili: trasportano dati essenziali per il funzionamento delle nostre economie, ma possono essere danneggiati con estrema facilità. Sono sufficienti reti da pesca o ancore per metterli fuori uso, bloccando comunicazioni, transazioni bancarie o flussi di energia attraverso quella direttrice e costringendo a dirottare i traffici sulle alternative, quando ce ne sono a disposizione.

I danneggiamenti di cavi sottomarini sono tutto tranne che rari: se ne registrano una media di oltre 100 all’anno, per la maggior parte non intenzionali. Secondo l’International Cable Protection Committee, il 40,8% dei danni è causato da attività di pesca, il 15,8% da ancore e il 17,8% degli indicenti risulta invece di attribuzione ignota. Per quanto i sabotaggi siano generalmente ritenuti essere una minoranza degli episodi, rappresentano una minaccia particolarmente insidiosa proprio perché possono essere facilmente mascherati come incidenti. Se per danneggiare un cavo sottomarino al largo bastano infatti l’ancora di una nave o una rete da pesca, attori maligni – sia statali che non – possono facilmente attaccare queste infrastrutture critiche godendo di quella che viene definita come plausible deniability, ovvero la possibilità di dichiararsi estranei ai fatti. Risulta infatti estremamente difficile dimostrare l’intenzionalità di eventi simili, rendendo così nebulosa l’attribuzione delle responsabilità. In questa nebbia proliferano potenze rivali o gruppi armati che possono, a fronte di investimenti relativamente bassi, causare danni significativi restando però ben al di sotto della soglia di un attacco armato diretto.

Dal Baltico al Mediterraneo, cresce l’esposizione europea

La regione baltica e l’Europa intera si trovano esposte ad una minaccia crescente, con le proprie infrastrutture sottomarine nel mirino di potenze avversarie. A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, infatti, il contesto internazionale è nettamente peggiorato e le infrastrutture critiche, già strumento di competizione geopolitica, sono divenute veri e propri bersagli, anche al di fuori delle zone di guerra. Lo scorso ottobre, entrambi i cavi che collegano le isole Shetland vennero danneggiati – di fatto privandole della connettività con il resto del mondo. Apparentemente si trattò di incidenti di pesca, mentre pochi giorni dopo diversi cavi furono tagliati a breve distanza dal punto di sbarco a Marsiglia, in quello che fu un sabotaggio a tutti gli effetti secondo la polizia francese. Più recente è invece l’allarme lanciato a febbraio dall’intelligence olandese dopo che una nave russa venne sorpresa in prossimità di un parco eolico offshore: Mosca starebbe cercando di mappare le infrastrutture energetiche del Mare del Nord, con l’intento di sabotarle. Del resto, negli anni la Russia ha sviluppato importanti capacità militari per colpire infrastrutture marittime, una componente di sempre maggiore peso nelle strategie militari russe.

Il tema della protezione di cavi e gasdotti sottomarini risulta altrettanto importante nel Mediterraneo: il decoupling energetico da Mosca ha infatti visto diversi Paesi, prima fra tutti l’Italia, passare da forniture di gas prevalentemente terrestri ad un contesto fortemente dipendente dalla dimensione marittima, lungo una direttrice Sud-Nord. Alle forniture di gas dall’Algeria e alla maggiore quota rappresentata da GNL si sommano poi, in una prospettiva di transizione energetica, le crescenti installazioni di solare ed eolico off-shore, oltre ai futuri collegamenti elettrici con i produttori della sponda sud. Due di questi – il cavo ELMED tra Italia e Tunisia e GREGY tra Grecia ed Egitto – rientrano nelle infrastrutture finanziate dal programma europeo Global Gateway, così come il cavo Blue Med/Blue Raman, precursore digitale del corridoio IMEC tra India, Golfo e Europa. La sicurezza economica europea si troverà quindi ad essere sempre più dipendente dalle infrastrutture sottomarine, per le quali occorre rafforzare il livello di protezione da possibili – e probabili – attacchi. La direttiva europea sulla resilienza delle infrastrutture critiche (CER Directive), approvata alla fine dello scorso anno, va nella direzione corretta, ma l’implementazione da parte degli stati membri rischia di procedere su percorsi individuali. Un problema ancora maggiore se si considera che, a differenza del Balticconnector, cavi e gasdotti del Mediterraneo ricadono anche sotto la giurisdizione di Paesi esterni. Si rende quindi necessaria la creazione di un sistema di sorveglianza e protezione condiviso con gli stati della sponda sud, responsabilizzandoli e coordinandosi con le forze militari e di polizia del vicinato meridionale dell’Unione europea.

Ombre cinesi e russe sotto i mari europei. L’analisi di Rizzi (Ecfr)

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