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Recep Tayyp Erdogan ha dichiarato la vittoria nel ballottaggio in Turchia. Ha ottenuto il 52% di voto, e sarà presidente fino al 2028, quando avrà 74 anni.

“I vincitori, sia delle elezioni del 14 maggio che di quelle del 28 maggio, sono tutti i nostri 85 milioni di cittadini”, ha detto parlando da un tetto di un autobus elettorale, da dove ha iniziato il discorso della vittoria cantando una canzone arabesca. “Vorrei ringraziare ogni singolo membro della nostra nazione che ancora una volta ci ha affidato la responsabilità di governare il Paese per i prossimi cinque anni”, ha continuato.

Il conteggio ufficiale — quello dell’autorità elettorale governativa — non è ancora finito al momento della statura di questo articolo, ma i dati diffusi dalle agenzie di stampa sono basati su schede reali e sono ormai ultimati.

Le grandi crisi come la pandemia, il depauperamento economico, lo scostamento da alcune delle ambizioni internazionali e il tragico terremoto di febbraio (quando il governo era stato accusato per la lentezza nella gestione dei soccorsi e per gli scarsi controlli applicati sui costruttori di molte case che sono andate distrutte) non sono state sufficienti a sconfiggere il presidente che guida il Paese da vent’anni.

Kemal Kilicdaroglu e le opposizioni raccolte sotto l’Alleanza Nazionale, sono sembrati impreparati, sfiatati e limitati nelle offerte — con una piattaforma politica che ruotava tutta attorno all’essere anti-Erdogan, cambiamenti nelle ultime settimane della squadra elettorale e nella narrazione della candidatura.

Una forma di alternativa che non ha funzionato, anche perché Erdogan conosce il suo Paese: nel bene — sapendo che leve movimentare per incrociare il consenso dei cittadini — e nel male, avendo ormai instaurato un regime di contrazione democratica con cui controlla tutto e tutti.

Il risultato potrebbe avere implicazioni che vanno ben oltre Ankara. La Turchia si trova al crocevia tra Europa e Asia e svolge un ruolo chiave nella Nato.

Il governo di Erdogan ha posto il veto alla richiesta di adesione della Svezia alla Nato e ha acquistato sistemi di difesa missilistica russi, il che ha spinto gli Stati Uniti a estromettere la Turchia da un progetto di caccia F35 a guida americana. Ma ha anche contribuito a mediare un accordo cruciale che ha permesso le spedizioni di grano ucraino e ha evitato una crisi alimentare globale.

Ankara ha ormai consolidato la propria influenza su diversi ambiti geopolitici, dal Mediterraneo al Nordafrica, in Medio Oriente, Asia Centrale, Corno d’Africa, Balcani. Ossia, la Turchia di Erdogan è protagonista in una sfera di influenza ampia, dove anche l’Italia proietta i propri interessi. E la Turchia è tornata a essere protagonista soprattutto grazie a Erdogan (aspetto che gli viene riconosciuto da studiosi politici ed elettori comuni). Anche questo sta alla base del successo, nonostante tutti i problemi che tale atteggiamento abbia creato al Paese, ci sono molti turchi (anche tra l’elettorato di Kilicdaroglu) che sentono il bisogno nazionale di adottare una mentalità di carattere imperiale. Un ritorno al passato, perché quel passato ancora affascina.

“Abbiamo completato il secondo turno delle elezioni presidenziali con il favore della nostra nazione. Vorrei esprimere la mia gratitudine alla mia nazione per averci regalato un giorno di democrazia”, ha detto il nuovo/vecchio presidente.

Ora inizia il lavoro per riqualificare la Turchia da dentro però, partendo dall’economia (e dagli aiuti promessi ai terremotati). I maquillage potrebbero non bastare più. Per esempio, le riserve estere nette della Banca centrale turca sono scese sotto lo zero per la prima volta dal 2002, secondo i dati ufficiali pubblicati all’inizio della settimana. L’opposizione accusa che, sotto l’influenza di Erdogan, la banca centrale abbia bruciato le sue riserve di valuta estera nel tentativo di contenere il drammatico crollo della lira turca, incanalando la valuta forte sul mercato attraverso canali secondari. Ora servono anche i fatti.

Quanto succede nel Paese è sempre molto importate, perché buona parte delle attività internazionali del Paese sono collegate a dinamiche interne. E dunque, potrebbero essere connesse all’agenda che il nuovo/vecchio presidente dovrà portare avanti, tra la necessità di dare aiuto alle sue collettività (a cui ha promesso molto), mentre ricostruisce un’immagine più solida del Paese sul piano internazionale.

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