Skip to main content

Cinque referendum: quattro voluti da Maurizio Landini, uno dai radicali, per dimostrare la loro esistenza in vita. Animatore e vero mattatore: il segretario della Cgil, deciso a rovesciare un’antica tradizione. Nel 1984 il referendum contro il decreto legge di San Valentino, che aveva limitato l’anno precedente gli scatti di contingenza, era stato voluto da Enrico Berlinguer, soprattutto in opposizione agli odiati socialisti. La Cgil, allora diretta da Luciano Lama era stata costretta a chinare la testa. Gli altri sindacati, fermamente contrari.

Con Landini, invece, il quadro è cambiato radicalmente. Questa volta è il segretario della Cgil che impone al resto della sinistra un terreno di scontro più che sdrucciolevole. Dove le speranze di vincere, come nel 1985, sono forse addirittura minori. Elly Schlein, un po’ per convinzione un po’ per opportunità, era stata costretta a seguire, pur cercando di prendere in mano la campagna di mobilitazione. In un contesto tutt’altro che semplice, per la complessa dislocazione delle diverse forze in campo. Che non lasciano presagire facili percorsi.

I militanti del Pd, secondo le indicazioni della Segretaria, dovrebbe votare cinque Sì. La pattuglia dei riformisti, ormai ridotta nel Partito ai minimi termini, voterà invece SI solo in alcuni casi: sulla cittadinanza e sulla responsabilità delle imprese appaltatrici. Negli altri casi non ritirerà le schede di voto, astenendosi. È prevedibile, tuttavia, che quel poco di base riformista, che ancora resiste, non si recherà nemmeno alle urne. Azione di Carlo Calenda andrà invece in cabina elettorale per votare quattro No ed un solo Sì per la cittadinanza. E, sul fronte opposto, farà lo stesso Noi moderati con una sola differenza per quanto riguarda il quesito sulla cittadinanza.

Anche in questo caso il voto sarà negativo. Per Matteo Renzi, invece, il No riguarderà tutti i quesiti relativi al Jobs Act. Il Sì sarà invece per la cittadinanza e la responsabilità delle imprese appaltatrici. Stessa scelta da parte di più Europa. I cinque stelle, a loro volta, voteranno SI ai quesiti relativi al mercato del lavoro. Mentre per la cittadinanza è prevista libertà di coscienza. La sinistra-sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli voterà invece Sì in tutti i casi.
Meno frastagliata la linea della maggioranza di governo, con la sola esclusione di “Noi moderati”, di cui si è già detto. Inviteranno all’astensione. Parola d’ordine più volte contestata dall’opposizione con argomentazioni, per la verità, piuttosto labili. Il voto referendario è completamente diverso da quello politico. In questo secondo caso vero e proprio valore civico.

L’onere dei promotori di un qualsiasi referendum deve essere infatti maggiore: non solo proporlo nelle materie previste dall’ordinamento, tant’è che esiste il doppio vaglio della Corte costituzionale e della Corte di cassazione. Ma essere tale da suscitare l’interesse degli elettori. I quali possono legittimamente rifiutarsi di partecipare ad un rito senza costrutto, qualora il quesito riguardi argomenti ritenuti inessenziali o addirittura, come in questo caso, addirittura dannosi. Del resto la situazione mantiene forti elementi di ambiguità. Landini, come si è visto, è riuscito ad unificare la sinistra italiana su una linea passatista. Le norme sul Jobs Act risalgono a dieci anni fa.

Furono codificate nella legge delega 183 del 2014. Da allora il mondo del lavoro è andato avanti, insieme agli sviluppi positivi della situazione italiana. Dieci anni fa, infatti, il tasso di attività della popolazione italiana (età compresa tra i 15 e i 24 anni), secondo Eurostat, era pari al 55,3% del totale: 17,5 punti meno della Germania e 9,2 dalla Francia. Lo scorso anno quelle differenze si sono ridotte (-15,2 con la Germania, -6,8 con la Francia). La crescita dell’occupazione, negli ultimi 10 anni è stata infatti maggiore: +12% in Italia, contro il 6% della Germania e il 7% della Francia. C’è ovviamente ancora molto da fare, ma tornare indietro sarebbe una follia.

Basterebbero questi elementi per dimostrare come la maggiore flessibilità del mercato del lavoro abbia prodotto risultati positivi. Altro che solo aumento della precarietà e della destrutturazione. Sempre 10 anni fa, dopo un lungo travaglio, segnato da un deficit permanente delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, la posizione patrimoniale netta dell’Italia era debitoria nei confronti dell’estero per un valore pari al 25,2% del Pil. Oggi quella situazione è completamente rovesciata. I crediti vantati nei confronti dell’estero ammontano al 15,3% del Pil. Con una balzo positivo di oltre 40 punti di Pil. La scommessa di allora, modernizzare il sistema delle tutele per rendere più resiliente l’intera economia, si è dimostrata vincente. Anche se i frutti del relativo progresso non sono stati distribuiti con equità. Ma il sindacato non ha alcuna colpa?

Errare è umano, ma perseverare può essere diabolico. Ed è questo l’aspetto meno convincente della manovra di Landini. Che contribuisce a spiegare anche il suo relativo isolamento. Né più né meno come avvenne, nel 1984 con il decreto sulla scala mobile. Quando ad opporsi, contro tutti, fu solo la componente comunista della Cgil. In quest’ultimo caso, infatti, l’Uil aveva già deciso di non partecipare “alla raccolta delle firme” né di “far parte dei Comitati” promotori del referendum. Limitandosi al blando invito ai propri iscritti di recarsi alle urne. Per votare come meglio crederanno, salvo scrivere un NO sui quesiti relativi al Jobs Act.

Ancora più netta la posizione della Cisl, che per bocca della sua segretaria Daniela Fumarola ha ribadito che la confederazione da lei diretta “non sostiene né il Sì né il No e non invita a disertare le urne. La scelta è quella di non schierarsi formalmente, ritenendo che i quesiti referendari, pur toccando temi rilevanti, non offrano soluzioni efficaci ai problemi strutturali del lavoro in Italia.” Mentre per la Ugl quella “contrapposizione ideologica” che è sottesa all’iniziativa referendaria “si è ormai rivelata controproducente e fallimentare”. Occorrerà, pertanto, “rafforzare il dialogo costruttivo tra governo e parti sociali verso un patto di responsabilità che persegua il reale interesse dei lavoratori e del Paese.” Insomma: pollice verso, com’era del resto facilmente prevedibile fin dall’inizio. Troppo scoperto l’obiettivo politico dell’iniziativa per poter estendere la platea dei soggetti da coinvolgere.

Landini, quindi, alla fine raccoglie ciò che aveva seminato. La frattura nel mondo sindacale rimane profonda e non potrà non ripercuotersi sul successo dell’iniziativa. Si vedrà all’indomani del 9 giugno, una volta chiusi i seggi elettorali. Fin da ora, tuttavia, è impossibile non vedere quale sia la reale posta in gioco. Da un lato una sorta di rivincita postuma sul referendum del 1984, dall’altra il possibile successivo approdo di un leader sindacale verso un impegno politico più diretto. Se infatti le cose andranno, come è probabile che vadano, le conseguenze, come avvenne quarant’anni fa, saranno inevitabili. Più o meno buone, a seconda dei punti di vista. Ma comunque del tutto estranee al presunto dato del contendere.

Ecco gli obiettivi inconfessabili dei prossimi referendum. Scrive Polillo

Maurizio Landini alla fine raccoglie ciò che aveva seminato. La frattura nel mondo sindacale rimane profonda e non potrà non ripercuotersi sul successo dell’iniziativa. Si vedrà all’indomani del 9 giugno, una volta chiusi i seggi elettorali. Fin da ora, tuttavia, è impossibile non vedere quale sia la reale posta in gioco. Gianfranco Polillo spiega quale

Un secondo shock cinese per l'automotive europeo? Cosa dice il report Ecfr

Il think tank European Council on Foreign Relations lancia l’allarme sul secondo “China shock” e sulla forza dirompente delle case automobilistiche cinesi integrate verticalmente, capaci di produrre veicoli a nuove energie a costi molto più bassi rispetto ai competitor occidentali. Il report mette in guardia inoltre sul rischio di “sinicizzazione” delle grandi marche europee, sempre più imprigionate in filiere controllate da Pechino

Resistere alla Cina è possibile. De Meo (Renault) spiega come

Il manager al volante della casa automobilistica francese fissa a cinque anni il punto di non ritorno, superato il quale i produttori cinesi saranno padroni dell’auto elettrica in Europa. Ora serve condividere strategie e tecnologia, creando un Airbus su quattro ruote

L'empatia geopolitica di Meloni come quella di Thatcher. Parola del Times

Il tenore della riflessione del Times poggia sulla capacità personale di Meloni si essere empatica con i propri interlocutori. E’ stata l’unica leader europea invitata all’insediamento di Trump a gennaio, ha ospitato il vertice del G7 in Puglia “rischiando attacchi di gelosia da parte di chiunque”, ma lei “sta seguendo le orme di Margaret Thatcher, nota per abbandonare la sua facciata d’acciaio e flirtare con i leader maschi”.

Buy Atlantic, Lockheed Martin si prepara a investire direttamente in Europa

Mentre l’Unione europea spinge sull’autonomia strategica e sul principio del “buy European”, anche gli Stati Uniti si muovono per restare nella partita. Lockheed Martin, il colosso della difesa americana, starebbe accelerando le trattative per rafforzare la propria presenza industriale nel Vecchio continente. Una mossa che, soprattutto a determinate condizioni, potrebbe mettere d’accordo entrambe le sponde dell’Atlantico

Huawei non è un capitolo chiuso nella guerra tech Usa-Cina

Huawei non è un capitolo chiuso nella guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina. Dopo i colpi inferti dall’amministrazione Trump e il proseguimento delle restrizioni volute da Biden, il colosso di Shenzhen si è rimodellato. A Washington serve una strategia di lungo termine per contenere davvero l’ascesa tecnologica di Pechino

L’Oms vara il trattato pandemico. Un’intesa che non mette tutti d’accordo

Dopo tre anni di negoziati, l’Assemblea mondiale della sanità ha adottato l’accordo pandemico dell’Oms: un’intesa che ambisce a rilanciare il multilateralismo sanitario, ma che nasce in un contesto geopolitico diviso e con un sostegno politico tutt’altro che compatto. Secondo Vella (Università Cattolica di Roma), “ci sono ancora molte questioni irrisolte”, mentre Pavone (Cnr) spiega: “tre i pilastri: prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie”

Come si muovono Londra e Roma nella crisi in Medio Oriente

Mentre Londra decide di sospendere i negoziati di libero scambio e sanzionare coloni violenti, il titolare della Farnesina conferma a Gideon Sa’arl’ che Italia conta sulla collaborazione del governo di Gerusalemme per rilanciare immediatamente il progetto umanitario “Food for Gaza”. Grossi (Aiea) a Milano

Il riordino del gioco fisico è ancora al guado. L'opinione di Pedrizzi

Sul gioco si stanno ancora fronteggiando, e da tanto tempo, due posizioni: quella degli operatori e quella delle Regioni e degli Enti locali che reclamano una propria autonomia e che premono giustamente sulla tutela della salute e dei giocatori. In mezzo c’è lo Stato. Il punto del senatore Riccardo Pedrizzi

Meloni, Zelensky, von der Leyen. Ecco chi si muove dopo la telefonata tra Trump e Putin

Mentre la diplomazia si rimette in moto, l’Unione Europea accelera con nuove sanzioni e l’Ucraina chiede più pressione su Mosca. I contatti di Zelensky con i leader occidentali mostrano l’urgenza di una risposta coordinata e la volontà di costringere la Russia al tavolo

×

Iscriviti alla newsletter