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I costruttori europei vivono la loro ora più difficile, sempre più pressati dalla spietata concorrenza cinese. Le case del Dragone producono più auto elettriche, più velocemente e a prezzo minore rispetto alle molto lontane cugine d’Europa. Lo dicono i numeri delle immatricolazioni: l’anno scorso, in Europa, sono state immatricolate più auto provenienti dalla Cina che dal Giappone o dalla Corea del Sud. E sul versante dei veicoli green, l’avanzata di Pechino aumenta, anche perché l’industria del Vecchio Continente sta ancora cercando di prendere le misure con il Green new deal.

IL DILEMMA DELL’AUTO

Bruxelles al momento ha confermato lo stop alla produzione di benzina e diesel per il 2025, lasciando con ogni probabilità fuori solo le auto ibride, che potranno quasi certamente consentire al mercato europeo di rimanere a galla. Ma le case europee, ancora in fase di riconversione delle linee produttive per l’elettrico, non riescono a stare al passo.  Nelle scorse ore il Financial Times ha sollevato una questione: andando avanti in questo modo, presto l’Europa potrebbe diventare un hub per la realizzazione di batterie da montare sulle auto elettriche cinesi o addirittura fornitrice di componenti per i produttori del Dragone.

Una prospettiva di vassallaggio industriale che secondo il quotidiano britannico sarebbe la naturale conseguenza dell’incapacità del Vecchio Continente di reagire e rispondere alla sfida cinese. C’è un caso che può fare scuola e può far ben capire la portata e i rischi connessi all’avanzata della Cina, non solo nel campo delle auto elettriche. Il sostanziale fallimento della svedese Northvolt, uno dei maggiori produttori di batterie al mondo. Che, lo scorso autunno, è andato incontro a una crisi irreversibile. Perché?

REBUS BATTERIE PER L’EUROPA

I problemi hanno iniziato ad emergere quando l’impianto di Skellefteå ha faticato a soddisfare gli obiettivi di produzione, fornendo meno dell’1% della sua capacità di 16 GWh, nel 2023. Le carenze di know-how sono diventate evidenti nella forte dipendenza dell’azienda dalle importazioni di materiale catodico e macchinari cinesi, che spesso richiedevano personale cinese per essere utilizzati. Alla fine, Northvolt ha perso ordini e non è riuscita ad ottenere nuovi finanziamenti, portando alla presentazione del Capitolo 11, la legge fallimentare americana (l’azienda era fortemente esposta a creditori Usa). La crisi finanziaria del produttore svedese ha avuto fortissime ripercussioni nel panorama delle tecnologie pulite in Europa, con la Germania esposta ad una potenziale perdita di 620 milioni di euro.

Ma, soprattutto, ha evidenziato certe vulnerabilità sistemiche per le tecnologie pulite in Europa: la persistente dipendenza da fornitori stranieri, la sfida di gestire il rapido aumento della capacità produttiva e la difficoltà di competere con attori affermati in Asia. Chi si salva, almeno per il momento, sono gli Stati Uniti, che con Tesla mantengono un presidio industriale importante nel Paese. I nuovi dazi imposti alle importazioni dal Dragone dall’amministrazione Trump, poi, fungeranno quasi certamente da barriera ai costruttori cinesi, cosa che in Europa invece non sta accadendo.

DAI MOTORI ALL’ACCIAIO

Anche l’acciaio vive mesi complicati e sempre per colpa della Cina. Nel 2023 l’Ue ha prodotto il 6,8% dell’acciaio mondiale (toccando un minimo storico di 126 milioni di tonnellate), contro il 54% della Cina, il 7,6% dell’India, il 4,7% del Giappone e il 4,4% degli Stati Uniti e ne ha esportate 16,3 milioni di tonnellate principalmente verso il vicinato fuori dal blocco dei Ventisette (Svizzera, Ucraina, Serbia, Turchia). Non è certo un caso che il principale produttore di acciaio europeo, la tedesca ThyssenKrupp, abbia annunciato poche settimane fa la riduzione dei suoi dipendenti dagli attuali 27mila a 16mila. Ed è sempre colpa della Cina: l’azienda ha spiegato che la sua competitività è stata messa in difficoltà dell’aumento delle importazioni a basso costo, soprattutto quelle provenienti dall’Asia.

AVEVA RAGIONE DRAGHI

Allora, forse, ha proprio ragione Mario Draghi quando, facendosi di nuovo portatore di quanto messo nero su bianco nel suo voluminoso rapporto, ha affermato, pochi giorni fa, dinnanzi al Parlamento europeo: “Per far fronte a queste sfide è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre di più come se fossimo un unico Stato. La complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo. Questa risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte”.

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