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Abbiamo bisogno di un ambientalismo sfidante e pragmatico, che tuteli l’ambiente e che lavori efficacemente sull’adattamento ai cambiamenti climatici.

L’adattamento, peraltro, in misure diverse, è sempre avvenuto nella storia, come sono sempre accadute le migrazioni in maniera più o meno pacifica. Leggere di “colpe dell’uomo” per quanto concerne la crisi climatica assolve al bisogno ineludibile di “trovare” una spiegazione e, appunto, un colpevole (che in linea di massima non corrisponde mai al lettore, in linea con gli usuali “standard” di autoassoluzione).

La crisi climatica è anche figlia del “successo dell’uomo” (mi spingo in una ardita perorazione in stile “positivismo del XXI secolo”).

Non voglio rubare pensieri e parole a nessuno, ma mi vengono in mente quelle di Piero Angela (“Dieci cose che ho imparato”) in cui ci ricorda quante risorse ci vogliono (petrolio, carbone, macchinari ecc.) per fare un lettore. Quanta energia ci voglia per fare un musicista, un batterista, un intellettuale, un blogger, un viticoltore, e chissà cos’altro ancora. Altrimenti “saremmo tutti a pascolare le pecore” (senza offesa per i pastori, anche loro attori di grandi cambiamenti tecnologici). Tante risorse per tanti mestieri e opportunità.

Dunque non possiamo rinunciare ad avere un cantante, un intellettuale, un politico o anche solo un lettore.

L’uomo avrà tante colpe (come genere e come singolo) ma il Dlgs n. 152/2006 (il c.d. Testo Unico Ambientale) indica chiaramente la direzione: “Il decreto legislativo ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della cita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali”.

L’uomo, quindi, è la soluzione e non il problema.

Anche le recenti modifiche agli artt. 9 e 41 “battono” sullo stesso tasto. A questo punto, l’amministrazione e le imprese non solo dovranno rispettare l’ambiente, ma tutelarlo anche nell’interesse delle future generazioni.

Non è in linea con questi principi autorizzare una cassa di espansione e un impianto per la produzione di biometano? O un sito per aumentare il riciclo di rifiuti che, altrimenti, andrebbero in discarica?

Insomma, l’Ambiente in Costituzione non può essere (solo) inteso come elemento da “bilanciare” con l’attività economica privata. Invece, l’”ambientalismo” deve diventare “ragione” per fare delle politiche “attive”. Meri timori potranno impedire l’ammodernamento tecnologico di impianti produttivi? Pensiamo all’enorme cantiere del Pnrr che ci apprestiamo a “non” far partire, dilaniati tra ragioni contingenti e filosofie diverse.

D’altro canto, sono sempre più necessari Piani e Programmi, sia pure nel rispetto delle autonomie: non se ne può più prescindere.
Basti pensare al Piano nazionale di gestione dei rifiuti, alla Strategia per l’economia circolare e al Piano nazionale integrato energia e clima che ci apprestiamo a riscrivere.

E i Piani, una volta consultati tutti gli interlocutori e definiti i contenuti, vanno attuati. Sta qui la differenza, probabilmente, tra ambientalismo utopistico e quello sfidante, ma pragmatico.

Una questione che riguarda direttamente l’industria manifatturiera, in particolare quella energivora. Se i prezzi delle bollette sono calati rimane sempre un preoccupante “scarto” con gli altri Paesi e concorrenti. Intanto, le indispensabili politiche di decarbonizzazione vanno riavviate.

Intanto, vanno attuate le misure più strutturali (Electricity e Gas releases) contenute nel primo Dl energia nel gennaio 2021. L’Electricity Release è fondamentale per iniziare a decarbonizzare e per calmierare il costo energetico. Non possiamo permetterci di non avere neanche per un giorno una misura equivalente a quelle a cui, pensa la Germania se vogliamo mantenere l’industria nazionale competitiva.

Le risorse raccolte con quote Ets devono tornare all’industria nella misura prevista dalle norme europee per finanziare la decarbonizzazione.
L’ultima legge di Bilancio va in questa direzione.

Il Pnrr e ogni altra misura sulla decarbonizzazione devono avere come riferimento non la produzione di idrogeno e biometano in generale, ma l’incentivazione e la promozione di gas verdi da utilizzare nell’industria: solo in questo modo si può accelerare nella decarbonizzazione.
Lo stesso vale per le rinnovabili elettriche.

Ancora, ma non meno importante, va allargata la definizione di Comunità Energetica alle imprese industriali con abolizione dei limiti di potenza e geografici (come già fatto pe la difesa e l’agroforestale). Il mercato delle rinnovabili avrà sempre più bisogno di capacità di supporto da fonti programmabili ai giorni senza sole e senza vento.

E l’industria potrebbe diventare strategica nella gestione di questi “sbilanciamenti”, in affiancamento alle “centrali di ultima istanza” per riequilibrare le misure in essere.

Formare e istruire un tecnico, un ingegnere, un professore, un professionista, uno sportivo hanno un significativo impatto ambientale (neanche lontanamente paragonabile a quello di un contadino di un secolo fa), ineludibilmente legato ad un ambientalismo sfidante.

Un ambientalismo sfidante e per questo pragmatico. Il commento di Medugno

L’Ambiente in Costituzione non può essere (solo) inteso come elemento da “bilanciare” con l’attività economica privata. L’ambientalismo deve diventare “ragione” per fare delle politiche “attive”. Meri timori potranno impedire l’ammodernamento tecnologico di impianti produttivi? Pensiamo all’enorme cantiere del Pnrr che ci apprestiamo a “non” far partire, dilaniati tra ragioni contingenti e filosofie diverse. L’intervento di Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta

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