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I partiti del governo di centrodestra in Italia sembrano concentrati in queste settimane a tessere alleanze con partiti “fratelli” in Europa per ottenere una maggioranza alle elezioni continentali del prossimo giugno e quindi porre le basi per un cambiamento di direzione della Ue.

In questo alcuni hanno la tendenza a cercare una internazionale fatta da partiti nazionalisti. Qui forse una svista concettuale.

L’internazionale può essere proletaria, perché si assume un interesse internazionale del proletariato contro i capitalismi nazionali. Ma nazionalismi non sono internazionalisti, anzi, mettono l’interesse della propria nazione contro quella altrui. I nazionalismi si fanno la guerra tra di loro.

La Germania nazista invase la Polonia nazionalista, insieme all’Urss internazionalista. Il destro Churchill rifiutò pace e alleanza con Hitler contro l’Urss perché sapeva che al fondo c’era l’interesse della Germania contro quello della Gran Bretagna non un vago interesse dell’internazionale nazionalista contro l’internazionale comunista.

Quindi il capo del governo italiano Giorgia Meloni non può cercare una politica di partito in Europa sopra/oltre l’interesse dello Stato italiano. Deve fare il contrario. Deve partire da un grande progetto europeo, in cui sia rappresentato anche l’interesse italiano, che venga portato avanti dalla Ue in una coalizione europea.

Ciò deve tenere conto delle preoccupazioni del continente. Oggi, diversamente da 70 o 50 anni fa, non c’è la paura del comunismo, ma c’è una paura strisciante del ritorno del fascismo/nazismo che ha un mallevadore esterno, geopoliticamente critico, la Russia di Vladimir Putin.

Se l’estrema destra si allontana dal radicalismo, e dal suo tutore Putin, benissimo. Altrimenti deve essere isolata e limitata in qualche modo, perché è una mina per la pace continentale.

C’è poi il dossier Francia. La questione emigrazione si risolve parlando con i Paesi del nord Africa: Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto, e quelli del centro Africa. Ma dietro di essi c’è la Francia. L’Italia vuole creare una politica africana contro la Francia? È difficile e scuote mille equilibri europei e globali.

L’Algeria ha fatto la guerra di indipendenza contro Parigi, la Tunisia ha rapporti non del tutto lineari con l’Eliseo, ma la Francia continua a essere forte in questi due Paesi e nel centro Africa, dove poi c’è anche un coordinamento con il Regno Unito, e quindi sempre un’attenzione americana.

Una politica africana 1. staccata dalla Francia, 2. senza un forte coordinamento con gli Usa, e 3. senza un massiccio impegno militare italiano in Africa apre una frattura continentale ed espone l’Italia non a risolvere il problema dell’immigrazione ma ad esasperarlo.

Il triangolo ha bisogno invece dei lati 1, 2 e 3. Sono lati a lunghezza variabile che però devono congiungersi. Maggiore accordo con Francia e Usa significa meno impegno militare diretto italiano e viceversa. Ma a pensare di non connettere i lati, il triangolo semplicemente non si regge.

Su tale contesto estremamente scivoloso poi grava per l’Italia il dossier economico.

C’è il Pnrr che marcia a fatica, le liberalizzazioni richieste dalla Ue sono al palo. Il Patto di stabilità è una catena intorno al collo del Paese ed è di difficilissima gestione. C’è lo spettro della recessione, la realtà del ritorno dell’inflazione. In ciò da ottobre-novembre tornerà il caro bolletta, per l’aumento dei prezzi di gas e petrolio, visto il protrarsi della guerra in Ucraina. La cosa, a sua volta, potrebbe riaccendere velenose polemiche pro Putin.

L’emergenza bolletta in assoluto dovrebbe essere meno drammatica dell’anno scorso, quando l’Europa era impreparata. Ma potrebbe essere relativamente più intensa, perché l’energia più cara arriva in un momento di situazione economica in contrazione, non espansione come era nel 2022.

A fronte di questi problemi, e vista la maggioranza di cui gode, il governo comunque non dovrebbe cadere in Parlamento, ma potrebbe cadere nell’impotenza.

Il rischio del governo di reggere, ma di essere impotente. Scrive Sisci

C’è il Pnrr che marcia a fatica, le liberalizzazioni richieste dalla Ue sono al palo. Il Patto di stabilità è di difficilissima gestione. Inoltre a livello internazionale c’è il dossier Francia ed emigrazione. A fronte di tali questioni, e vista la maggioranza di cui gode, il governo non dovrebbe cadere in Parlamento, ma potrebbe cadere nell’impotenza…

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