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Grazie all’insalata (alle buste di insalata della quarta gamma) la revisione della normativa imballaggi tramite una proposta di regolamento della Commissione europea di novembre scorso (ora all’esame del Parlamento Ue) assurge a popolarità, quella vera, su pagine “foglianti” (“Insalexit non ci avrai”, Il Foglio, 10 maggio, Il Sole 24 Ore, 8 maggio) e addirittura “atterra” su una popolare trasmissione di Rai 2 del mattino sempre il 10 maggio (“Viva Rai 2”).

Per i non addetti ai lavori la proposta di regolamento contiene una norma che vieta la plastica per pacchi sotto il chilo e mezzo, a meno che ciò sia necessario per evitare uno shock fisico. L’intervento “fogliante” la usa come pretesto per ricordarci la bontà dell’Europa del progetto europeo (e che in fine dei conti la busta di insalata è salva), quello del popolare conduttore di Rai 2 si chiede se compreremo pacchi di insalata da un chilo e mezzo.

Se vogliamo, quello dell’insalata è un pretesto, anche per il sottoscritto, per tornare ancora sulla proposta di regolamento di revisione della normativa imballaggi che in questi giorni è all’esame della Commissione Ambiente del Parlamento Ue (ieri scadeva il termine per gli emendamenti alla bozza di relazione del relatore Ries).

Sì, perché a parte la norma sull’insalata in busta (che si applicherà da Rovaniemi a Lampedusa, da Oporto a Nicosia, per le famiglie da 5 persone… e per gli scapoli), la proposta contiene l’imposizione di obiettivi di riuso degli imballaggi, nella ristorazione e nella distribuzione, senza considerare in alcun modo gli impatti ambientali di questa diversa modalità di gestione degli imballaggi.

Manca, cioè, quell’approccio che consente di capire qual è la migliore opzione sotto il profilo ambientale. Riusare un bicchiere, un contenitore è un vantaggio sotto il profilo del singolo, ma l’operazione ripetuta milioni di volte, nelle nostre società, determina una grande consumo di acqua, di carburante per i trasporti e ci costringe a fabbricare imballaggi più pesanti (e non più leggeri) adatti al riutilizzo.

Nella bozza di relazione in esame alla Commissione Ambiente del Parlamento europeo leggiamo anche l’introduzione di un obbligo per i distributori finali dell’Horeca di cibi da asporto, freddi e caldi settore delle bevande per fornire un sistema che consenta ai consumatori di ricaricare i propri contenitori. Per poi aggiungere che la responsabilità di comportamenti scorretti non sarà comunque responsabilità dell’azienda. Un principio facile da scrivere in una relazione, più difficile da far digerire come principio giuridico in un’epoca in cui salute e igiene sono fondamentali (prima ancora della pandemia) e si affermano nuovi diritti e responsabilità.

Queste una delle proposte emendative alla proposta di regolamento che la Commissione Ue ha presentato lo scorso 30 novembre e che ora è passata all’esame del Parlamento Ue. La relatrice Ries le ha presentate nella sua proposta di parere, reso pubblico nello scorso mese di aprile e che, appunto, doveva essere votato e emendato dalla Commissione Ambiente entro il 10 maggio. Così modificato il parere andrà in Plenaria, non senza aver raccolto i pareri delle Commissioni Industria e Agricoltura.

Modificare un regolamento con una direttiva è già una stranezza, ma a ciò va aggiunto che non tiene conto delle differenze tra i vari Paesi, anche in termini di raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio. La proposta imporrebbe ai diversi materiali, senza distinzione e senza adeguate valutazioni d’impatto il riutilizzo come sempre preferibile al riciclo.

Mentre l’Italia e l’Europa hanno costruito sistemi di raccolta e riciclo, quell'”economia circolare” che oggi consente di riciclare in Italia più del 70% degli imballaggi con una infrastruttura che meglio si concilia con il mercato interno. Il riuso (o il riutilizzo), infatti, prevede il ritorno al produttore, mentre il riciclo avviene in prossimità del luogo di consumo. Non è un dettaglio per un mercato interno di 500 milioni di persone.

Interessante anche la proposta di parere della Commissione Industria al Parlamento europeo, che pur non essendo vincolante, esprime comunque l’orientamento di parte dell’emiciclo europeo. Questo parere (reso qualche giorno fa) e redatto dalla parlamentare italiana Toia, calca la mano sulla libera circolazione. Suggerisce, quindi, che ulteriori prescrizioni di etichettatura del packaging introdotte a livello di Stato membro dovrebbero essere evitate per non frammentare il mercato unico che questa proposta di Regolamento si propone di creare.

Rispetto al riuso, la relatrice Toia propone l’introduzione di un obiettivo di raccolta differenziata al 90% di tutti i rifiuti di imballaggio al 2030, necessario per garantire la disponibilità di materiale riciclato da utilizzare in altri imballaggi. A questo proposito i sistemi di deposito cauzionale devono rappresentare un’ulteriore opzione a disposizione degli Stati membri per raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio.

Dunque non si tratta soltanto di una “busta di insalata in più”. Certo l’insalata si può comprare fresca e i libri si comprano molto bene in libreria, ma imporre la dimensione di una busta o il riuso del bicchiere è davvero un bene per l’ambiente?

Una discussione e un dibattito che vanno fatti, senza mettere in discussione l’Europa.

Anche se il caso della busta di insalata potrebbe essere affiancato a quello della “misura del cetriolo” e della “curvatura delle banane” (come osserva l’acuto “fogliante” del 10 maggio) in mancanza di risposte all’eccezione più importante: il riuso è sempre l’opzione migliore per l’ambiente?

(P.s. vado ad aprire una busta d’insalata, per scrivere non ho avuto il tempo di lavare quella fresca)

Per una busta di insalata in più. L'intervento di Medugno

Certo l’insalata si può comprare fresca e i libri si comprano molto bene in libreria, ma imporre la dimensione di una busta o il riuso del bicchiere è davvero un bene per l’ambiente? L’intervento di Massimo Medugno

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