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Appena qualche anno fa Luca Morisi, all’epoca saldamente al comando della comunicazione di Matteo Salvini, in un’intervista del maggio 2016 al Corriere della Sera ancorava il successo digitale e social del leader politico al “circolo virtuoso” creato dalla formula TRT”, acronimo che celava il senso della cross-medialità da coltivare tra televisione, rete e territorio. “Gli ambiti si trainano a vicenda. Uno vede Salvini in televisione, scatta la curiosità e va su internet, dove scopre che magari tra pochi giorni è in piazza dalle sue parti”. La dieta social seguita per far crescere i follower e le interazioni degli account di Facebook, di Instagram, di Twitter e poi dal 2019 di TikTok, era quindi dettata dalla opportunità di inseguire contenuti potenzialmente “hype”, a prescindere dalla connotazione politica in senso stretto, o di crearli appositamente allo scopo di generare traffico e audience social verso Matteo Salvini, o meglio la sua identità digitale.

Così per diverso tempo, una volta isolata e codificata la formula del successo della comunicazione digitale, si è pensato erroneamente che questa potesse essere applicata all’infinito a qualsiasi altro leader politico. Come se fosse sufficiente coniugare, seppur con qualche lieve differenza, la presenza in qualche talk televisivo, una decina di post pubblicati al giorno, senza disdegnare un selfie e una diretta a tarda ora, accoppiando il tutto alla dimensione fisica con gli appuntamenti territoriali in lungo e in largo.

Eppure, a dire il vero, ancora prima che Luca Morisi lasciasse la tolda di comando della social room salviniana, era il mese di settembre del 2021, era evidente che la formula TRT avesse perso buona parte del suo smalto, non riusciva più a generare la medesima audience digitale, che aveva contribuito a far scollinare la Lega oltre il 32% alle elezioni europee del 2019. Un rallentamento solo in parte dovuto alle modifiche dell’algoritmo da parte delle piattaforme, anche perché parallelamente alla perdita di interazioni, follower e reaction da parte di Salvini, c’era la crescita degli insight da parte dei canali social di Giorgia Meloni. È sufficiente citare qualche dato per comprenderne la portata. Al 31 dicembre del 2021, la differenza totale delle reaction raccolte dai tre principali account social dei due leader di centrodestra si era più che dimezzata rispetto all’anno precedente: Salvini era sceso da 248 milioni di reaction a 140 milioni, Meloni al contrario era rimasta ferma, con uno scarto davvero minino, sui 96 milioni di reaction complessive. Le percentuali di engagement e post interaction degli account Facebook e Instagram, sempre a fine del 2021, dei due leader, evidenziavano in modo inequivocabile la capacità di Giorgia Meloni di incassare una quota di attenzione molto più ampia rispetto a quella ottenuta da Salvini: 11% di engagement rispetto al 9,2% su Instagram e l’8,5% rispetto al 3,6% su Facebook.

È chiaro, a questo punto, che l’acronimo coniato da Morisi che nel breve aveva prodotto utili social a vagonate, in un periodo più ampio non si era rivelato così affidabile. Il bug che causava il mal funzionamento della formula TRT era causato da una altra consonante, la C, iniziale di credibilità, una qualità per nulla marginale di qualsiasi leader, politico o non. La Televisione, la Rete e il Territorio funzionano a meraviglia sempre che l’attore principale risulti credibile per gli utenti, altrimenti le piazze social e delle città rimangono vuote, viene meno la costruzione di una familiarità digitale che si riverbera anche nelle urne al momento del voto. Del resto, i risultati delle elezioni politiche di settembre o anche le ultime regionali in Friuli Venezia Giulia con il successo di un leader credibile per i friulani come Massimiliano Fedriga, ci suggeriscono che la formula di Morisi funziona solo se riscritta in questo modo: C+TRT.

Senza credibilità non ci sono interazioni a sufficienza e senza interazioni si restringe anche il paniere dei suffragi. Giorgia Meloni è stata percepita in questi anni dagli italiani come una leader credibile, che non cambiava idea e posizione con ogni nuova maggioranza di governo, che ha continuato a tener ferme alcune bandiere identitarie, che pur accettando alcune necessarie incursioni nella dimensione pop della comunicazione politica ha sempre conservato una sua sobrietà. Insomma, in questi anni Meloni è partita sempre dal discorso politico per supportare il dato, diversamente da Matteo Salvini che in tante occasioni è partito dal dato per arrivare a una posizione politica sempre mutevole.

Politici e social, la formula da sola non basta senza la credibilità

La Televisione, la Rete e il Territorio funzionano a meraviglia sempre che l’attore principale risulti credibile per gli utenti, altrimenti le piazze social e delle città rimangono vuote, viene meno la costruzione di una familiarità digitale che si riverbera anche nelle urne al momento del voto. L’analisi di Domenico Giordano

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