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Al 30 aprile manca oltre un mese. Eppure, per precauzione e per evitare per tempo che la mannaia del payback si abbatta sulle imprese che riforniscono le sanità regionali di dispositivi medicali, polverizzando fino a 112 mila posti di lavoro, l’esecutivo di Giorgia Meloni ha deciso di giocare in anticipo. La vicenda è nota, ma vale la pena riassumerla.

Il payback, come noto, è quel meccanismo, concepito 15 anni orsono ma operativo solo dal 2015, che impone all’industria biomedicale, in particolare a quella che vende alle regioni di dispositivi medici, di concorrere nella misura del 50% al disavanzo per l’acquisto dei suddetti beni. Il gioco è più o meno questo: se la tal Asl ha sforato il tetto annuale di spesa per i dispositivi medici, per i quali non si può destinare più del 4,4% della propria quota del fondo sanitario nazionale, a ripianare il buco di bilancio devono essere le aziende che riforniscono la medesima Asl.

Le quali devono restituire una parte di quanto già incassato, frutto di gare d’appalto e successivi contratti. Una norma rimasta nei fatti inapplicata fino alla pubblicazione il 15 settembre in Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo con cui è stato certificato il superamento dei tetti per il periodo 2015-2018 e quindi le somme che le aziende dovranno ripianare entro metà gennaio 2023. Morale, 2,2 miliardi da corrispondere alle regioni, entro la fine di aprile. Ed è qui che entra in gioco il governo.

Come anticipato settimane fa da questa testata, Fratelli d’Italia, su impulso della deputata Ylenia Lucaselli, ha preso a cuore il destino di decine di imprese dalle spalle non certo larghe, che non sopravviverebbero all’esborso in questione. Per questo il partito del premier ha portato avanti a partire da gennaio un pressing costante sul ministero dell’Economia, affinché individuasse le risorse necessarie a disinnescare la mina. Vale a dire i soldi con cui sterilizzare il rimborso da parte delle imprese. Denari che vanno ricercati per forza di cose tra le pieghe del Documento di economia e finanza attualmente in vigore, prima che lo stesso, proprio ad aprile, venga aggiornato.

Dalle indiscrezioni raccolte da Formiche.net, i giochi sembrerebbero essere fatti. Oggi stesso, infatti, l’esecutivo dovrebbe chiarire al proprio interno l’effettivo ammontare delle coperture con le quali anestetizzare il payback. Ma è una corsa contro il tempo. Il termine del 30 aprile altro non è che una proroga (inizialmente il payback sarebbe dovuto scattare a fine 2022), dunque manca la soluzione strutturale. Per questo l’esecutivo punta tutto su un provvedimento di ampio respiro. Di qui, come raccontano fonti ben qualificate, il prossimo venerdì cioè tra due giorni, una riunione risolutiva tra Fratelli d’Italia, Mef e Ragioneria, alla quale spetta il timbro finale sull’intera operazione.

Tre gli obiettivi del vertice. Primo, avere ufficialità delle coperture a disposizione, secondo valutare come redistribuire sulle imprese eventuali eccedenze di risorse (se si trovano più dei 2,2 miliardi in questione, perché non usare quei soldi per sostenere le medesime aziende), terzo strutturare una normativa da incastonare dentro un provvedimento che Fratelli d’Italia vorrebbe vedere venire alla luce entro la prima metà di aprile per poi farlo entrare in vigore a inizio 2024. Il conto alla rovescia è partito.

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​Il 30 aprile scadrà ufficialmente il termine per il versamento di 2,2 miliardi di rimborsi alle regioni, da parte delle imprese che forniscono le sanità locali di dispositivi medici. Ma Fratelli d’Italia punta a far approvare entro pochi giorni un provvedimento strutturale che salvi le aziende

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