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È stato raggiunto nel marzo scorso, dopo molti anni di trattative, un importante accordo per la protezione degli oceani, quella zona dell’alto mare  che copre quasi la metà del pianeta. Finalmente verranno regolamentate le attività nelle cosiddette “acque internazionali”, con la speranza  di proteggere le oltre 200 mila specie che le abitano, il 10% delle quali a rischio. L’“High Seas Treaty”, il Trattato per l’Alto Mare, prevede che entro il 2030 dovrà essere protetto il 30% degli oceani, le zone cioè che si trovano oltre le acque territoriali , oltre le 200 miglia dalle coste. Acque di tutti e di nessuno, perché non sottoposte ad alcun controllo. L’accordo significa non più pesca incontrollata, rotte marittime concordate, estrazione mineraria limitata. Qualcuno l’ha definito un accordo storico vista la convergenza tra i Paesi occidentali e la Cina, tra il Nord e il Sud del pianeta. Anche perché gli oceani producono il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbono il 25% delle emissioni di CO2: proteggerli significa proteggere l’esistenza stessa dell’uomo.

Proprio per questo la Giornata mondiale che le Nazioni Unite a loro dedicano l’8 giugno di ogni anno, dalla Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992, assume un significato speciale: costituisce l’occasione per riflettere, come ricorda Ispra, sui “benefici che gli oceani sono in grado di fornirci e il dovere che incombe su ogni individuo e sulla collettività di interagire con gli oceani in modo sostenibile”.  “Quest’anno, più forte che mai, confermiamo il nostro impegno per proteggere, ripristinare e prendersi cura dell’oceano con una serie di azioni per un valore di oltre 800 milioni di euro – ha detto il Commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca  Virginijus Sinkevicius – L’oceano fa parte di ciò che siamo ed è una nostra responsabilità condivisa”.

Che l’Unione europea sia in prima linea nella salvaguardia dei mari e sulla governance internazionale degli oceani, lo dimostra la comunicazione del 2022 “Definire la rotta per un pianeta blu sostenibile”, in cui venivano tracciate le future azioni da intraprendere per la protezione della biodiversità marina e per lo sviluppo sostenibile dell’economia del mare. “Se l’economia blu fosse paragonata a un’economia nazionale sarebbe la settima più grande al mondo e l’oceano, quale entità economica, farebbe parte del G7. Tale economia opera nell’ecosistema più vasto del pianeta: gli oceani coprono il 97% di tutta l’acqua mondiale e l’80% di tutte le forme di vita. L’oceano ci circonda e ci sostiene, fornendo una quantità sufficiente di ossigeno per un respiro su due che prendiamo, cibo per quasi la metà dell’umanità e risorse essenziali per la salute umana, nonché un’intera rete di interazioni economiche”.

I settori maggiormente interessati riguardano le biotecnologie e la blue bioeconomy; il turismo costiero e marittimo; la desalinizzazione dell’acqua di mare; la costruzione e l’implementazione della robotica marina e dei cavi sottomarini; le risorse biologiche e la loro conversione in alimenti; l’estrazione di petrolio greggio, gas naturale e altri minerali compreso il sale; l’energia rinnovabile marina, eolica, delle maree e solare; la difesa marittima militare e civile; il trasporto passeggeri e merci; le attività portuali; la cantieristica navale; la ricerca e l’innovazione.

La comunicazione europea stabilisce specifiche azioni integrate per “un oceano sicuro, protetto, pulito, sano e gestito in modo sostenibile”. Queste si fondano su quattro pilastri politici: rafforzare il quadro internazionale di governance degli oceani; rendere la sostenibilità degli oceani una realtà entro il 2030; garantire sicurezza e protezione in mare; accrescere la conoscenza degli oceani. La protezione e la conservazione della biodiversità marina sono priorità fondamentali per raggiungere la protezione del 30% entro il 2030. Così come il divieto dell’estrazione mineraria in acque profonde per un’effettiva protezione dell’ambiente marino. E gli accordi di partenariato per una pesca sostenibile con Paesi terzi.

Quello che stiamo vivendo è stato eletto dalla Commissione Oceanografica dell’Unesco come il “Decennio per la tutela degli oceani”. In accordo con l’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile: la vita sott’acqua,  la conservazione e l’uso durevole del patrimonio marino per uno sviluppo sostenibile. Assicurando anche ai piccoli pescatori l’accesso alle risorse e ai mercati ittici. Oltre 3 milioni di persone dipendono dalla biodiversità marina e il valore di mercato delle risorse e delle industrie marine e costiere costituisce il 5% del Pil mondiale.

Con altrettante sfide da affrontare. “Comprendi e combatti l’inquinamento marino” conoscendo e contrastando le fonti terrestri e marine di inquinanti; “proteggere e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità” attraverso condizioni e soluzioni ambientali e climatiche mutevoli; “nutrire in modo sostenibile la popolazione globale” sostenendo l’innovazione per ottimizzare le risorse marine; “sviluppare un’economia oceanica sostenibile ed equa”; “generare conoscenza e soluzioni per il cambiamento climatico” per mitigarne gli effetti e migliorare i servizi; “aumentare la resilienza delle comunità ai rischi oceanici” attraverso allerte precoci per tutti i pericoli oceanici e costieri; “garantire il sistema globale di osservazione degli oceani” che fornisca dati e informazioni accessibili; “creare una rappresentazione digitale dell’oceano” per esplorare e scoprire le condizioni oceaniche; “competenze e tecnologie per tutti” su tutti gli aspetti della scienza oceanica; “cambiare il rapporto dell’umanità con l’oceano” attraverso comportamenti e valori necessari al benessere umano.

Il tema di quest’anno è “Planet Ocean: tides are changing”, le maree stanno cambiando, per sottolineare che “nonostante la totale dipendenza dell’umanità da esso e rispetto all’ampiezza e alla profondità di ciò che ci offre, l’oceano riceve in cambio solo un frammento della nostra attenzione e delle nostre risorse. Ma le maree stanno cambiando”. Per troppo tempo gli oceani sono stati considerati troppo grandi e le loro risorse così infinite da poter essere sfruttate impunemente.

Lo scorso maggio, in occasione del Forum delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, è stato proposto un Blue Deal per maggiori investimenti nei settori emergenti come l’alghicoltura e i prodotti sostenibili sostituti della plastica, non solo per raggiungere l’Obiettivo 14 dello Sviluppo Sostenibile, “Vita sott’acqua” entro il 2030, ma per salvaguardare le risorse marine e dar vita ad un’economia oceanica a vantaggio di tutti. Questo obiettivo è il meno finanziato di tutti gli altri: solo l’1,6% dei circa 2,9 miliardi di dollari all’anno è stato dirottato all’economia oceanica.

Le alghe, sostiene il rapporto, crescono senza acqua dolce e catturano enormi quantità di CO2. Il mercato globale negli ultimi anni è passato da 4 miliardi e mezzo di dollari nel 2000 a 16 miliardi e mezzo nel 2020. Possono essere coltivate per produrre alimenti, cosmetici e biocarburanti e possono essere utilizzate come alternativa alla plastica, di cui 11 milioni di tonnellate l’anno finiscono negli oceani. Un potenziale di crescita enorme che dovrebbe essere valorizzato con finanziamenti alla ricerca e allo sviluppo.

Come dice Sylvia Earle, l’oceanografa americana dei record, 87 anni, conosciuta come “Sua profondità”: “La nostra vita dipende dall’oceano. Niente acqua, niente vita; niente blu, niente verde”. Non abbiamo alternative. E il tempo a disposizione è sempre più scarso. Il 2030 è dietro l’angolo.

Proteggere gli oceani per proteggere il pianeta

“Quest’anno, più forte che mai, confermiamo il nostro impegno per proteggere, ripristinare e prendersi cura dell’oceano con una serie di azioni per un valore di oltre 800 milioni di euro. L’oceano fa parte di ciò che siamo ed è una nostra responsabilità condivisa”. Le parole del Commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevicius in occasione della Giornata mondiale degli oceani

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