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Dopo la visita di Emmanuel Macron negli Stati Uniti, sembra che la “gara” per conquistare i favori del “principe azzurro” di Washington veda per il momento il presidente francese in prima posizione. Sebbene la visita di Stato fosse stata programmata da tempo, il tempismo con cui si è svolta è stato ideale per riuscire a mettere in luce la Francia come il principale partner europeo che, in questa fase complicata a livello internazionale, sembra essere il punto di riferimento più affidabile a livello transatlantico. Come certamente non lo è la Germania di Olaf Scholz, che con la sua visita di inizio novembre a Pechino con uno stuolo di imprenditori al seguito sembra avere “tradito” lo Zio Sam per il Dragone. Il tutto, in attesa della visita a Washington del nostro presidente del Consiglio Giorgia Meloni la prossima primavera, dopo l’insediamento del nuovo Congresso e i primi approcci alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco.

Del resto, in quest’ultimo periodo gli Stati Uniti di Joe Biden sono tornati a essere saldamente protagonisti sullo scenario internazionale sfruttando anche le difficoltà della Cina, indebolita internamente dal palese fallimento della politica Zero Covid (il leader Xi Jinping, dopo averla sostenuta testardamente per quasi tre anni, sta ora iniziando a fare marcia indietro) e da un rallentamento economico strutturale. Stiamo infatti assistendo all’esaurirsi del modello di crescita cinese tutto export a basso costo e investimenti, quando invece sarebbe ora passare dalla “pubertà” all’“età matura” accettando una transizione che sia più basata sulla domanda interna e quindi anche un aumento di costo del lavoro e salari e maggiori libertà individuali. Dall’altro invece gli Stati Uniti sono tornati a imporsi – almeno in questa fase storica – come unica vera superpotenza, ruolo consacrato anche dopo il summit G20 di Bali e il quasi G2 nel quale la condanna praticamente unanime della Russia è stato un grande successo diplomatico occidentale trainato dagli Stati Uniti.

Macron è stato dunque abile a sfruttare questa positiva congiuntura per mettere a segno qualche colpo importante, di cui potranno beneficiare non solo la Francia ma anche gli altri Stati europei a cominciare dall’Italia, alla luce dei nostri forti interessi economici e strategici a livello transatlantico. Innanzitutto per il dialogo (che pare sia stato efficace) sull’Inflation Reduction Act, vero e proprio bazooka fatto di sussidi nei settori green e high-tech a favore delle aziende americane che aveva suscitato le ire dell’Unione europea per il timore di essere escluse dal mercato statunitense: l’intervento di Macron dovrebbe essere riuscito a smussare gli elementi “Buy American” più contundenti di questo provvedimento scongiurando una escalation delle controversie in sede Wto che avrebbe rischiato di aprire una nuova guerra commerciale transatlantica, dopo quella durata 17 anni per i reciproci sussidi aeronautici. In secondo luogo, il lancio della conferenza sull’Ucraina che si terrà il 13 dicembre a Parigi: sebbene non si tratti di una vera e propria conferenza di pace come frettolosamente annunziato da alcuni organi di (dis)informazione ma piuttosto di un pledging event nel quale saranno annunciati impegni finanziari per la ricostruzione dell’Ucraina, si tratta di un successo diplomatico della Francia che potrebbe comunque aprire spazi di dialogo per la fine delle ostilità, oltre che per gli investimenti delle imprese europee per la ricostruzione del Paese martoriato dalla guerra.

Che ruolo può giocare l’Italia di Meloni in questo frangente se vuole mirare anche a sostituire il Regno Unito come migliore alleato degli Stati Uniti nell’Unione europea? Il presidente del Consiglio, dopo aver stabilito una buona relazione personale con Biden grazie all’incontro bilaterale di Bali, ha ancora diverse frecce al proprio arco per affiancare Macron nel cuore del “principe azzurro” di Washington dopo aver fatto dimenticare i primi “eccessi” pro Donald Trump avendo mantenuto la politica estera del governo su binari decisamente più tradizionali, pur restando comunque ancorata alle proprie basi politiche e contando su una solida ancorché qualche volta riluttante maggioranza parlamentare.

Nell’attesa di vedere se fra due anni prevarrà il nuovo “Kennedy” della destra repubblicana Ron DeSantis, o se sarà confermata la tranquilla e abile e collaudata competenza dell’ottantenne presidente, le relazioni transatlantiche tra Italia e Stati Uniti sono destinate a rimanere fruttuose e positive. Una questione fondamentale per il nostro Paese, in un momento in cui per rilanciare l’azione economica e politica a livello internazionale non possiamo fare a meno dell’appoggio di Washington. A cominciare dall’energia, dato che nel 2023 il gas naturale liquefatto americano ci servirà sempre di più e dalle collaborazioni industriali che spaziano dalla industria della difesa, allo spazio, all’ambiente. E continuando con la difesa dei nostri interessi geopolitici nel Mediterraneo, dalla Libia all’Iran (senza dimenticare l’area sempre delicata dei Balcani), come è stato confermato dal presidente del Consiglio nel suo discorso conclusivo ai Med Dialogues organizzati dall’Ispi e dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Le relazioni transatlantiche sono indispensabili all’Italia e a tutta l’Europa: teniamocele strette al di là dei distinguo politici.

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L’incontro con Biden vede per il momento il presidente francese in prima posizione ma la premier ha ancora diverse frecce al proprio arco. Le relazioni transatlantiche sono indispensabili all’Italia e a tutta l’Europa: teniamocele strette al di là dei distinguo politici. Il commento di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti

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