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“Nessuno vuole la guerra, ma la pace non cade dal cielo. Dobbiamo essere preparati a una guerra per evitare la guerra”. Con queste parole la presidente taiwanese Tsai ing-wen ha iniziato il discorso con cui ha annunciato l’estensione della coscrizione militare obbligatoria a un anno. Una mossa per aumentare il livello di preparazione delle truppe dell’isola che si lega alla minaccia di un’invasione cinese.

Non siamo ancora al punto di un attacco imminente, ma Pechino — che vede Taiwan come una provincia ribelle da annettere — non ha mai negato che l’uso della forza possa rientrare tra le opzioni, sebbene estrema, per risolvere la pratica delle due Cine. E il Partito/Stato ha impostato organizzazioni e pianificazioni che fanno pensare che uomini e mezzi per un’eventuale difesa sono in preparazione. Tanto più se si considera che da una recente revisione le forze armate erano risultate ferme a 162mila unità, sotto l’obiettivo fissato di 7 mila.

“La difesa dell’isola è una necessità primaria per le istituzioni taiwanesi”, spiega Stefano Pelaggi, docente della Sapienza e autore de “L’isola sospesa”, un testo in cui si analizza l’unicità di Taiwan (che si lega alle sue complessità) e il valore che l’isola ha negli equilibri del mondo. È per tale ragione che le scelte di Tsai, così come le attività cinesi, non interessano solo quella regione, ma possono avere ricadute globali.

Non a caso se nel discorso tenuto dalla presidente taiwanese, la resistenza del popolo ucraino all’aggressione russa è stata più volte menzionata, come atto patriottico e di difesa di diritti e sovranità. D’altronde, la guerra lanciata il 24 febbraio da Vladimir Putin ha avuto effetti in tutto il mondo, e ha colpito l’Asia in una miriade di modi. Secondo un’analisi dell’Asia Nikkei, dall’inflazione e dalla scarsità di cibo all’alterazione delle relazioni e all’adeguamento delle politiche energetiche e di difesa, il conflitto in corso ha cambiato radicalmente e forse irrevocabilmente il modo di pensare nella regione.

Taipei (con tutte le differenze del caso) è un dossier più volte avvicinato a Kiev. La coscrizione obbligatoria inizierà dal 1 gennaio 2024 per tutti i cittadini maschi nati dopo il 1 gennaio 2005. Una decisione difficile, “resa necessaria dall’esigenza primaria di difendere la democrazia taiwanese” ha detto Tsai. L’addestramento militare sarà interamente rivisto, verranno incluse esercitazioni live-fire e aumentata la preparazione al cyberwarfare e alla difesa da sistemi elettronici e robotizzati. Verrà anche aumentata la paga prevista, per rendere la leva socialmente meno impattante.

“La scelta non deriva da pressioni di Washington ma dalla presa di coscienza della necessità di garantire la possibilità alle Forze Armata di difendere i confini del paese”, aggiunge Pelaggi in una conversazione con Formiche.net. Gli Stati Uniti stanno comunque da tempo aiutando Taiwan ad armarsi (la chiamano “strategia del porcospino”), al fine di renderla difficilmente attaccabile senza che l’aggressore subisca danni ingenti. Ciò dovrebbe portare a evitare azioni sconsiderate, e su questo l’esperienza ucraina potrebbe avere un peso sulle idee di Pechino — o quanto meno essere d’insegnamento.

Inoltre, le nuove disposizioni inserite nell’annuale budget per la difesa da Washington permetteranno all’amministrazione e al Congresso di seguire vie più rapide per la vendita e il trasferimento di armi verso Taiwan. Recentemente sono anche uscite informazioni interessanti sulle produzioni taiwanesi: a metà mese si è parlato di due vettori ipersonici a medio e più lungo raggio, missili da crociera in grado di raggiungere Pechino e che porterebbero la difesa dell’isola nel ristretto club dei possessori di questa nuova tecnologia; in più, in questi giorni, circola la notizia che nel 2023 verrà messo in attività il primo sottomarino taiwanese.

L’aspetto più interessante dietro alla decisione annunciata da Tsai sta nel cambio di narrazione sulla minaccia cinese. “Sino a ora tutti i governi avevano evitato riferimenti a sforzi bellici contro eventuale attacco: la minaccia cinese era descritta come diplomatica, o come interferenze nelle elezioni, ingerenze politiche o coercizioni economiche, però mai come minaccia concreta di invasione, da nessuna delle parti politiche”, spiega Pelaggi.

Taiwan inizia a raccontarsi — al mondo, quanto a sé stessa — come in pericolo. “La leva obbligatoria di un anno — continua il docente — introduce anche il discorso della partecipazione diretta nella difesa del territorio, elemento sempre tenuto fuori dal metadiscorso pubblico. La società confuciana sottolinea uno scarso valore sociale del militare, ma tutto ciò dovrò cambiare drasticamente, anche perché la resistenza ucraina ha modificato questa percezione”.

Con il discorso di Tsai e con le nuove direttive diventa evidente che la resistenza va costruita come uno strumento della strategia e per essere tale deve necessariamente partire dal livello interno, innanzitutto come forma di consapevolezza tra le collettività. Il supporto esterno internazionale è l’eventuale livello successivo — e potrà essere scatenato soprattutto come conseguenza della reazione interna, come dimostra il caso ucraino d’altronde.

Per Pelaggi, “l’identità taiwanese entra in una nuova era: fino a oggi essere taiwanesi significava identificarsi nella democrazia, una sorta di etnonazionalismo civico unico al mondo ora l’elemento della “difesa della patria con la armi” dovrà essere gradualmente introdotto e si tratta di una dinamica inedita per i taiwanesi”.

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