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Un combinato disposto avvenuto in contemporanea racconta come una calamità naturale terrificante, come il terremoto che ha colpito Turchia e Siria, sia in effetti un acceleratore di determinate dinamiche geopolitiche. La catastrofe che ha portato via la vita a decine di migliaia di persone ha mosso sensibilità e necessità e diventa un’occasione (si ricorderà che anche con il Covid successe qualcosa di simile) e così i Paesi colpiti scoprono le carte delle proprie vulnerabilità. I soccorritori sono mossi da sentimenti caritatevoli, ma anche da calcoli più pragmatici. Si abbinano quindi una serie di necessità.

Per esempio, mentre l’Italia è stato il primo Paese europeo a portare aiuti umanitari in Siria, il primo funzionario di un governo europeo a recarsi in Turchia per mostrare vicinanza al governo locale è stato il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias. Non serve scorrere troppo indietro la storia del Mediterraneo per comprendere che questa visita è tutt’altro che banale. E basta guardare l’altrettanto interessante contemporaneità con cui l’Emiro del Qatar, Tamin bin Hamad al Thani, sempre ieri era a Istanbul mentre ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed volava a Damasco.

Dendias è stato accolto nella provincia meridionale turca di Adana, devastata dal sisma, al suo omologo Mevlut Cavusoglu. Il capo della diplomazia di Recep Tayyp Erdogan adesso parla di quanto sia “importante il sostegno greco in questi giorni difficili”, ma fino a qualche mese fa sosteneva che “la Grecia sta armando le isole (del Mar Egeo, ndr), prenderemo anche [noi] le misure necessarie”. Inoltre il ministro degli Esteri turco ha detto di non voler attendere altro sisma per ricucire strappi con Atene, mentre la Grecia è stata tra i primissimi a inviare solidarietà e aiuti. Anche Cipro avrebbe voluto inviare aiuti, ma sono stati rifiutati perché la Turchia non riconosce lo Stato (anzi ne rivendica l’invasione pur essendo stata contro leggi e trattati internazionali).

Un funzionario europeo sottolinea l’importanza di questo viaggio auspicando che possa essere l’inizio di nuove evoluzioni. Negli ultimi anni le tensioni tra Grecia e Turchia sono cresciute verso pericolosi limiti. I due Paesi si contendono il controllo di alcuni tratti di mare, cruciali per l’affaccio di Ankara oltre il Mar Nero e resi ancora più interessanti dall’innescarsi di un’intensa anche attività geopolitica attorno alle scoperte di nuovi reservoir energetici (senza dimenticare le critiche sugli accordi per la Zee).

Per cui, alla luce del ramoscello di ulivo scambiato tra Atene e Ankara, è lecito chiedersi come influirà il terremoto sia nelle relazioni bilaterali che nella politica domestica turca e quali scenari attendono la Grecia con le elezioni politiche della prossima primavera.

Tutto mentre Cipro – centro delle tensioni storiche greco-turche – ha già un nuovo presidente con l’ex ministro degli Esteri Nikos Christodulides (sostenuto dal centrodestra) che succede al conservatore Nikos Anastasiades. Le sue prime parole dopo la vittoria sono state nella direzione di lavorare “per la fine dell’occupazione turca, la riunificazione della nostra patria”, sbloccando lo stallo, riavviando il dialogo, per una soluzione che assicuri ai nostri figli un Paese riunito, che rispetterà i diritti di tutti i suoi residenti legali, greco-ciprioti e turco-ciprioti, maroniti, armeni e latini. Cipro non può essere l’ultimo Stato paralizzato dell’Unione europea”.

Allo stesso tempo il terremoto ha “provocato” l’apertura dopo 35 anni di una porta di confine tra i nemici di lunga data, Turchia e Armenia, per consentire il trasferimento di aiuti alle vittime. È stato lo stesso inviato speciale della Turchia per l’Armenia, Serdar Kilic, a twittare foto di camion che attraversano il checkpoint di Alikan sul lato turco del fiume Aras: “Ricorderò sempre il generoso aiuto inviato dal popolo armeno per contribuire al soccorso delle persone colpite dal terremoto in Turchia”, ha detto ringraziando i funzionari armeni.

Il passo era stato utilizzato per l’ultima volta nel 1988 per trasportare aiuti dalla Mezzaluna Rossa turca all’Armenia colpita dal terremoto: da allora sono ferme le relazioni diplomatiche tra Ankara e Yerevan per via delle frizioni fortissime sul Nagorno-Karabakh. Il terremoto ha mosso qualcosa oltre la faglia anatolica.

(Foto: twitter profile Dendias)

 

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