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Don Rocco D’Ambrosio, docente alla Gregoriana, da buon cattolico non ama Machiavelli. Non gli imputa di aver davvero sostenuto che il fine giustifica i mezzi, ma sa che le cose stanno grosso modo così e a un buon cattolico questo non può, o non dovrebbe, piacere. E D’Ambrosio lo dice subito. Non dice però, e questo interessa, che il vero merito di Machiavelli, non rilevato dai suoi sostenitori, sta altrove, e cioè nell’essere stato il primo pluralista. Machiavelli aveva scelto un modello, la Roma repubblicana, e lo sosteneva al di là dei confini dello spazio romano e del tempo mediterraneo, ma riconosceva che esisteva un altro modello possibile, un’altra cultura perseguibile: quella cristiana. Dunque il suo pluralismo era oggettivo, reale, e non può essere confuso con il solito biasimato relativismo. Il pluralismo, quello autentico quale era onestamente quello di Machiavelli, non ha nulla del relativismo, riconosce piuttosto che ci sono ordini diversi, opzioni diverse, non esiste una sola “ragione”. Ma le lodi per il Machiavelli non toccano mai questo punto, non riguardano la sua onestà pluralista, ma si beano del suo evidente cinismo, ci si specchiano dentro, eliminando ogni rimando etico nel nome di un pragmatismo senza principi e quindi senza valori.

Qui si coglie uno dei tratti più interessanti del nuovo libro di don Rocco D’Ambrosio, “C’è sempre un dopo”, (Castelvecchi, 12,50 Euro), che ci accompagna in questi tempi di finto machiavellismo, tra post-pandemia e tempi di guerra.

Non è difficile essere tutti machiavellici, specchiarsi nelle acque gelate del cinismo politico che classi dirigenti senza cultura dipingono come il vero “Mare Nostrum”: un vero disastro…

Il suo libro invece cerca una vera riconciliazione, e lo fa soprattutto nelle pagine che dedica all’impervio terreno del confronto bellico, motivo per cui merita certamente di essere letto e apprezzato, soprattutto ora che la guerra ci avvolge senza interessarci. Una bomba ci libererà… Per sempre?

Procedendo in questo modo siamo tornati a dividerci tra pacifisti e bellicisti, tra buoni e cattivi, tra amanti del bene e sedotti dal male. Chi lo vede più il diritto dei popoli a difendersi? Pochi. Perché i buoni sono sempre buonissimi, magari con le patrie degli altri, che abbandonano senza battere ciglio ai cattivi, per amor di serenità. E la riconciliazione?

La parabola del grano e della zizzania spicca nel libro per la sua forte efficacia. Noi siamo i buoni, loro i cattivi? Di questo siamo tutti facilmente convinti dalle lusinghe del pacifismo e del bellicismo, senza mai renderci conto che si tratta di due atteggiamenti che dipendono in tutto e per tutto da noi, dalla nostra presunzione di possedere il bene e combattere il male, senza se e senza ma. È così che i contendenti diventano tutti uguali, che ci sia un loro parente sotto sevizia o meno non cambia: noi siamo i buoni, e lo sappiamo, loro no. Così non c’è più differenza nel come si combatte, nel come si guarda il nemico: no, la guerra rende grigi tutti i gatti agli occhi dei giusti, quelli che sanno dove stia la giustizia, la bellezza, la verità. Devo dire che questi capitoli sono una lezione d’umanità.. e di umiltà.

A mio avviso qui emerge anche il danno che il pacifismo ideologico ha arrecato alla predicazione del papa pacifista. Ha torto a parlare di pacifismo? Certo che no! Dio ci scansi da un papa che benedice le armi europee consegnate all’Ucraina come Cirillo I ha benedetto quelle di Putin. E infatti Francesco ha demandato il compito a chi è più vicino di lui, cioè alle Chiese locali. Il papa non è il cappellano dell’Occidente e questo ci insegna a rispettare e apprezzare i russi che si ribellano allo sciovinismo di Cirillo I, il cappellano di Putin.

Queste Chiese in armi nel cuore d’Europa ci rimandano a tempi lontani, tempi che speravamo finiti, come speravamo finita la visione panslava del patriarcato di Mosca, che si sente depositario del bene, in prima linea contro di noi, il male lascivo e corrotto dell’Occidente dei Gay Pride. Questa guerra però rischia di seppellirci, ma non sarà il vecchio slogan “meglio rossi che morti” a salvarci, ma la consapevolezza che i popoli hanno i loro diritti, sia davanti all’imperialismo di Mosca che a quello della Nato.

Dalla pandemia all'Ucraina, c'è sempre un dopo. Cristiano legge D'Ambrosio

Non è difficile essere tutti machiavellici, specchiarsi nelle acque gelate del cinismo politico che classi dirigenti senza cultura dipingono come il vero “Mare Nostrum”: un vero disastro… Il libro invece di don Rocco D’Ambrosio, “C’è sempre un dopo. Riflessioni su post-pandemia e guerra in Ucraina” (Castelvecchi), cerca una vera riconciliazione, e lo fa soprattutto nelle pagine che dedica all’impervio terreno del confronto bellico, motivo per cui merita certamente di essere letto e apprezzato

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