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Il “Qatargate” (il nomignolo giornalistico attribuito alle indagini che sta conducendo la Procura di Bruxelles su – ancora- presunte tangenti miliardarie avute da parlamentari europei, e da loro collaboratori, per favorire il Paese del Golfo persico) ha fatto una prima vittima, oltre al danno reputazionale alle istituzioni europee ed in particolare al gruppo socialista e progressista del Parlamento europeo: il progetto di aumentare le risorse a disposizione della Commissione europea tramite “risorse proprie”, non solo quelle fornite dagli Stati membri, al bilancio comunitario, in base, essenzialmente, al Pil di ciascuno. Ad oggi, le uniche “risorse proprie” dell’Unione europea (Ue) sono i dazi doganali della tariffa esterna comune e una parte del gettito Iva.

Se ne parla da anni e un passo importante è stato fatto in seguito alla pandemia con i programmi Sure e Next Generation Eu (Ngeu). Varie proposte sono sul tappeto, non ancora allo stadio di negoziati ufficiali o di un’iniziativa della Commissione da discutere tra i rappresentanti membri. Ne sono stati approntati schemi, anche dettagliati, alcune dei quali pubblicati su riviste professionali. Numerosi sono oggetto di seminari che coinvolgono economisti e giuristi di vari Stati membri ed anche funzionari (spesso di alto livello) della Commissione europea. Ancora al riparo di giornalisti e di opinione pubblica.

Possono essere sintetizzate in due categorie. La prima prevede nuovi compiti eccezionali e urgenti (ossia emergenziali), che implicano un forte impegno finanziario a livello dell’Ue. Possono essere collegati all’emergenza ambientale, alla transizione energetica, alla difesa comune, alle ondate migratorie, alla ricostruzione dell’Ucraina e simili. In questo scenario l’Ue dovrà affrontare nel prossimo futuro “emergenze” che favoriscono una forte determinazione politica e unità e richiedono un forte impegno finanziario da parte del bilancio dell’Ue. Una sorta di ripetizione dell’esperienza della Ngeu. In questo contesto, si può prevedere una soluzione come quella adottata per il finanziamento dei Programmi nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr).

Se l’impegno politico è forte, una nuova versione (basata sul Pil dei singoli Stati membri) potrebbe essere una soluzione praticabile, come lo è stata per la facility per il Recovery and Resilience Fund. È stato sottolineato che, in caso di aumento sostanziale delle “risorse proprie” dell’Ue, qualsiasi soluzione basata sulla ripartizione del gettito di una (o più di una) imposta nazionale può essere molto lunga e forse inconcludente, a causa delle differenze strutturali dei sistemi tributari degli Stati membri che porteranno a squilibri percepiti nella ripartizione dell’onere finanziario e a negoziati ardui e protratti nel tempo per raggiungere una distribuzione “equa”. Una distribuzione basata sul Pil sarebbe probabilmente più facile da accettare come soluzione “equa”. Se questo scenario è accettato come il modo “migliore” di procedere, la Commissione dovrebbe proporre la ripartizione basata sul Pil e lasciare da parte qualsiasi altra proposta.

Il secondo prevede una graduale evoluzione dell’Unione verso un esito federalista. Il rafforzamento del bilancio federale procederebbe lungo il percorso tradizionale, cercando una ripartizione tra gli Stati membri basata sulla condivisione delle entrate delle tasse armonizzate (o prelievi). La Commissione dovrebbe continuare, come sta facendo ora, a sfruttare la necessità di un maggior numero di strumenti come “cavalli di Troia” per promuovere l’armonizzazione fiscale tra gli Stati membri. A lunghissimo termine, il risultato (tacito e implicito) potrebbe essere l’istituzione di diritti di imposizione autonomi dell’Ue, distinti dai diritti di imposizione degli Stati membri. Attenzione: negli Stati Uniti ciò ha richiesto oltre cento anni: dalla ratifica della Costituzione nel 1787 al suo sedicesimo emendamento nel 1913.

Le due categorie di proposte non sono incompatibili l’una con l’altra. La prima, se spinta da motivi “emergenziali” potrebbe nel più lungo termine trasformarsi nell’altra.

Il Qatargate mette a repentaglio la prosecuzione dei lavori verso l’aumento delle “risorse proprie” sia nel solco della prima sia in quello della seconda. È probabile che quale che siamo i risultati delle indagini condotte in Belgio (e forse tali da estendersi ad altri Paesi) il discredito gettato sul Parlamento europeo, che ha il compito di approvare il bilancio comunitario e di vegliarne sulla sua utilizzazione, avrà conseguenze anche su questo.

Qatargate, la vittima di cui non si parla ancora

Il Qatargate mette a repentaglio la prosecuzione dei lavori verso l’aumento delle “risorse proprie” dell’Unione europea. È probabile che quale che siamo i risultati delle indagini condotte in Belgio (e forse tali da estendersi ad altri Paesi) il discredito gettato sul Parlamento europeo, che ha il compito di approvare il bilancio comunitario e di vegliarne sulla sua utilizzazione, avrà conseguenze anche su questo

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