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Stampa italiana e anche qualche testata estera alla prima conferenza di fine anno di Giorgia Meloni, organizzata dall’Ordine dei giornalisti, e che si è tenuta, come nella migliore tradizione da qui a qualche anno, nella grande sala presso il Palazzo dei Gruppi, a due passi da Montecitorio. Nel giorno in cui al Senato è passata la fiducia (109 voti favorevoli) che mette il timbro definitivo sulla manovra di bilancio da 35 miliardi.

Due ore e mezza per fare il punto della situazione (qui l’intervista all’economista Gustavo Piga) e tracciare un primo bilancio di due mesi di governo. Europa, inflazione, conti pubblici, politica industriale e monetaria, mercati, energia e sostegno alle famiglie. Non è mancato davvero nulla nel menù economico, servito a dovere da una dozzina di domande da parte dei cronisti accorsi a via Campo Marzio. E così, pochi minuti dopo le 11.30, il primo premier donna della storia italiana, ha cominciato a rispondere a 45 quesiti complessivi.

PENSANDO ALLA (PROSSIMA) MANOVRA

Le prime considerazioni del premier sono state rivolte proprio alla manovra, appena approvata. Nel 2023, il grosso delle risorse messe a sistema per il sostegno alle famiglie e alle imprese, in ottica di lotta all’inflazione, andranno rifinanziate. Ma come? “La legge di Bilancio attuale non lascia molto spazio alle pressione dei ministeri, questa è stata una precisa scelta politica. Abbiamo deciso di mettere tutte le risorse a disposizione delle famiglie e dell’economia. Mi pare un risultato non scontato, al netto delle legittime divergenze”, ha premesso Meloni. E comunque, “tanto per essere chiari, “i miei tempi coincidono con quelli degli alleati, tutti ci diamo un orizzonte di cinque anni. Uno degli elementi di forza dell’Italia in questo momento è che potrebbe esserci una stabilità di medio periodo. Il fatto che a livello internazionale ci sia lo stesso interlocutore, un elemento di forza dell’Italia”.

Guardando sempre al futuro, “trovo un clima assolutamente positivo nella mia maggioranza. Siamo in una situazione di grande emergenza, i provvedimenti per l’energia costano cinque miliardi al mese, ma se cambiasse il quadro economico una parte dei fondi oggi in manovra, allora molte risorse si libererebbero. Su una cosa voglio essere chiara, questo governo rispetterà i saldi di bilancio nell’ambito della finanza pubblica, in sintonia con l’Europa. Se prendiamo soldi da una parte, ne togliamo dall’altra”.

IL FRONTE DEL LAVORO

Altra questione, il lavoro. “Veniamo da anni in cui ci è stato detto che l’occupazione si crea per decreto. Non è così, è lo Stato che crea lavoro e dunque benessere e dunque ricchezza. Noi vogliamo fare esattamente questo e non è un caso che in manovra sia stata prevista la decontribuzione totale per chi assume a tempo indeterminato. Ci vuole maggiore occupazione rispetto al massimo livello degli anni precedenti”, ha spiegato Meloni. “Dobbiamo metterci in testa una cosa, il mercato del lavoro è cambiato profondamente in questi anni, occorre diversificare le tipologie contrattuali, per mettere in chiaro il lavoro. Ci sono nuovi mestieri, con un mercato molto più frammentato. La politica economica del lavoro deve andare in questo senso”.

“Abbiamo speso per anni otto miliardi per dare il reddito di cittadinanza a chi non lavorava, facendoli stare a casa mentre qualcuno paga le tasse. Bene, io dico, prendiamo gli otto miliardi della vecchia programmazione sociale, più i tredici miliardi della nuova e il Pnrr. Sono molti i soldi, per questo immagino che se una persona va in ufficio di collocamento deve sapere da chi viene formato e che cosa può fare. I soldi ci sono, ora serve la volontà politica per realizzare tutto questo. Io credo che la condizione per migliorare la qualità del lavoro riguardi soprattutto il tema della crescita economica: mettere le persone in condizione di assumere, cosa che avviene quando l’economia è libera di operare e quando ci si trova di fronte a un governo e a una politica che fanno del loro meglio per favorire chi crea ricchezza e lavoro” .

MISSIONE (COMPIUTA) SUL PNRR. MA ORA…

Non poteva mancare una domanda sul Pnrr, che per l’Italia, primo Paese per ammontare delle risorse destinate, resta la vera ciambella di salvataggio. Il governo Meloni ha appena centrato i primi 55 obiettivi del piano, legittimato ora a chiedere lo stacco di un nuovo assegno all’Europa (19 miliardi, con la richiesta da far partire al massimo entro sabato prossimo), per stessa ammissione del premier, la staffetta con l’esecutivo Draghi ha funzionato, visto che l’ex presidente della Bce ha centrato 25 obiettivi su 55.

“Ma”, ha puntualizzato il premier, “il difficile viene adesso. Ci sono costi esplosi delle materie prima, simili prezzi quando il Pnrr è stato scritto, nemmeno esistevano. E allora su questo dobbiamo lavorare, abbiamo circa 100 miliardi di euro di investimenti da mettere a terra, ma dobbiamo fare i conti con i costi, come detto, e con le competenze di cui la Pa necessita. Credo che servano delle priorità strategiche, cosa che l’Italia non ha avuto negli ultimi anni”.

UN FISCO A PROVA DI CULLE E CRESCITA

Forse il cuore di ogni manovra e in generale di ogni politica economica è il fisco. E così è anche per l’esecutivo Meloni. “Abbiamo due obiettivi per il prossimo anno. Primo, aumentare la portata degli interventi sul costo del lavoro. Quest’anno, ridurre il cuneo fiscale di un altro punto percentuale (il governo Draghi aveva alleggerito il costo del lavoro di due punti percentuali, Meloni ha apportato un ulteriore taglio dell’1%, ndr) ci è costato molto. Ma crediamo che questa sia la strada su cui vogliamo proseguire. Una cosa deve essere chiara, noi non tasseremo mai la casa, che è un bene essenziale e sacro. Colgo l’occasione per confermare che sul tema della riforma fiscale intendiamo andare avanti secondo direttrici che secondo me sono visibili già nella manovra”.

Secondo punto, “il sostegno demografico e alla natalità. Una ripresa delle nascite e una solida politica demografica passa per un buon welfare, efficace e a sua volta su una vera detassazione dei redditi. Quindi, meno tasse sulle famiglie vuol dire anche consentire alle famiglie italiane di fare delle scelte di vita con più serenità”. E ancora, la riforma del Catasto. “Si può tranquillamente fare una mappatura per migliorare la conoscenza delle costruzioni ma sicuramente, e lo voglio ripetere, da questo governo non partirà mai un aumento della tassazione sulla casa, particolarmente sulla prima casa che resta non tassabile e non pignorabile”.

MISSIONE AFRICA PER L’ITALIA

Valicando i confini dell’Europa, Meloni ha affrontato il delicato tema dell’alternativa energetica alla Russia, che oggi risponde al nome di Africa. “L’Italia è hub e baricentro nel Mediterraneo, i principali gasdotti che partono dall’Africa transitano o approdano da noi. I Paesi del continente nero sono tutti fortemente interessati a investire nell’approvvigionamento energetico, basta guardare alla Mauritania, che oggi lavora all’idrogeno verde. Per questo penso che mettendo delle risorse ben calibrate, si possa guardare al Nord Africa come il vero fulcro della diversificazione delle fonti energetiche. L’Italia, non dobbiamo mai dimenticarlo, è e vuole essere una porta di ingresso”, ha spiegato il premier.

“Diverse città del Sud d’Italia sarebbero ben contente di ospitare opere simbolo del progresso energetico italiano. Citando Enrico Mattei (fondatore dell’Eni, ndr) noi non guardiamo all’Africa con atteggiamento predatorio, ma per lasciare qualcosa in Africa. E sono convinta che ci sia grande domanda di Italia nello stesso continente”.

IL REBUS DEL MES

Non è finita. C’è un altro nodo che attende al varco Meloni nel 2023, ovvero la possibile ratifica del Trattato che disciplina il Meccasinismo Salva Stati, al secolo Fondo Salva Stati. “Partiamo da un presupposto, finché io sono premier l’Italia non attiverà mai il Mes, che è e rimane un creditore privilegiato”, ha chiarito il premier. “Domanda, in un momento in cui tutti hanno bisogno di risorse, noi possiamo tenere bloccate decine di miliardi di risorse, che nessuno userà però? Vorrei capire dall’Europa se è possibile ratificare un Trattato e la sua riforma per attivare qualcosa che possa essere utilizzato dai Paesi membri, con condizionalità diverse e meno stringenti. Questo sì, vorrei farlo”.

Insomma, “io credo che sulla vicenda del Mes la ratifica della riforma sia secondaria. L’Italia non accederà mai al Mes finché io conto qualcosa, che la riforma entri in porto o no temo che quel fondo non verrà usato, perché le condizionalità sono troppo stringenti”. Dopo di che della riforma “ne parleremo con il Parlamento e ci confronteremo con il Parlamento”.

Non è mancata, infine, una stoccata alla Bce dopo le strette monetarie in sequenza degli ultimi mesi. “La Banca centrale europea ha un’autonomia che rispettiamo ma per come la vedo io nella situazione attuale sarebbe meglio evitare scelte peggiorative e soprattutto sarebbe utile gestire bene la comunicazione sulle scelte che si fanno. Altrimenti si rischia di generare fluttuazioni sui mercati che vanificano il lavoro che i governi fanno quotidianamente”. In ogni caso, ha proseguito, “sul tema dell’aumento dei tassi ci siamo messi in sicurezza in manovra con maggiori oneri sul debito, avevamo tamponato la situazione”.

 

Fisco, Europa, Pnrr, inflazione (e Mes). La melonomics che guarda al 2023

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