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Ora è dimostrato: il 51% del 5G italiano è in mano ad aziende cinesi. Da dieci anni ho segnalato ripetutamente e in modo circostanziato (in sede pubblica e riservata) che la politica italiana aveva imboccato una scelta sbagliata che avrebbe portato a questo risultato. La mia non è stata una posizione solitaria. Con il passare degli anni si sono succeduti report sempre più accurati dell’intelligence su backdoor, telefonia mobile e videosorveglianza nonché alert dei nostri alleati statunitensi. Sul piano poltico-parlamentare da cinque anni una posizione molto netta e unanime sui pericoli del 5G cinese è stata assunta dal Copasir presieduto da Lorenzo Guerini, Raffaele Volpi e Adolfo Urso. Purtroppo neppure questa presa di posizione – per quanto autorevole e ben argomentata – ha inciso più di tanto.

Né le gare ministeriali per le frequenze né quelle di Consip e di migliaia di stazioni pubbliche appaltanti hanno tenuto conto delle minacce e dei rischi connessi alla penetrazione cinese nelle telecomunicazioni e nei processi di digitalizzazione. Quasi tutti casi esaminati in materia di golden power si sono risolti con prescrizioni pilatesche e/o inutili perché impossibili da controllare nella loro applicazione concreta.

Come ha fatto la Cina ad accrescere la propria influenza in un settore strategico del nostro Paese? Lo strumento principale è stata una sistematica opera di interlocuzione con partiti e singoli politici a livello locale, regionale e locale. Niente di illegale (almeno presumo), ma una miriade di piccoli e grandi interventi nei settori più disperati. È impossibile – data loro quantità – fornire l’elenco delle sponsorizzazioni concesse nell’ultimo decennio da aziende come Huawei e Zte. Ne cito soltanto il gran numero di cittadini nella capitale: la maratona Ostia-Roma e le molteplici attività a essa connesse. Certo, la maratona in sé non avrebbe niente di male, ma essa genera anche relazioni particolari che hanno oggettivamente una capacità di influenza sul territorio e possono creare condizionamenti. Per esempio sarebbe bello dedicare la prossima maratona alle proteste delle donne iraniane e alla condanna delle esecuzioni capitali decise dal regime di Teheran. Sarebbe possibile?

Franco Bernabè pochi giorni fa an Otto e mezzo su La7 è stato molto chiaro: “L’Italia è più permeabile di altri Paesi a queste interferenze straniere”. Oggi tutti parlano di Qatar, è il momento giusto per agire. Il Copasir nuovamente guidato da Guerini può utilmente riprendere in mano il prezioso lavoro avviato nel 2018. L’Italia è del resto in buona compagnia di Francia e Germania in materia di dipendenza russa e cinese.

È l’ora di una svolta strategica e di lungo periodo per contrastare l’invadenza tecnologica del totalitarismo cinese e del regime dispotico della Federazione Russa. Sono tante le zone opache da esplorare, si pensi soltanto al ruolo di Gazprom nella distribuzione. Sono in gioco i nostri interessi nazionali e la nostra stessa credibilità come protagonisti delle istituzioni euro atlantiche.

Nella recente audizione in Parlamento del sottosegretario all’innovazione Alessio Butti sono riaffiorati preoccupanti accenni all’autarchia tecnologica. Nell’audizione si è fatto riferimento a una presunta minaccia statunitense in materia di cloud computing senza tenere conto dei progressi compiuti in sede di Trade & Technology Council, che punta al rilancio della cooperazione tecnologica tra Unione europea e Stati Uniti, attività fondamentale per il futuro tecnologico dell’Italia.

Le commissioni parlamentari competenti e lo stesso Copasir potrebbero utilmente fare il punto sia sul Trade & Technology Council sia sulle specifiche relazioni bilaterali Italia-Stati Uniti in ambito energetico, digitale e delle più avanzate tecnologie. La politica deve coinvolgere e mobilitare i migliori scienziati per delineare finalmente una politica tecnologica di cui l’Italia avrebbe un disperato bisogno.

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