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È la somma che fa il totale, per citare Totò. Una frase che si può applicare anche alla questione delle gru gigantesche “made in China” presenti nei porti degli Stati Uniti, e non solo. Il problema non è la singola gru cinese ma la presenza massiccia di questi mezzi “smart”.

Nei giorni scori un’inchiesta del Wall Street Journal ha rivelato che i funzionari statunitensi sono sempre più preoccupati del fatto che queste gru per container da nave a terra – prodotte dalla multinazionale statale cinese Zpmc, di proprietà del colosso China Communications Construction Company, contractor di numerosi progetti della Via della Seta – possano fornire a Pechino uno strumento di spionaggio nascosto alla luce del sole. Come raccontato da Formiche.net, queste gru sono presenti anche in alcuni porti italiani assieme a Logink, piattaforma di raccolta dati nelle mani del Partito comunista cinese.

Secondo Isaac B. Kardon, senior fellow dell’Asia Program presso il Carnegie, “le gru Zpmc sono così diffuse che sono praticamente le uniche che si possono installare. Ed essendo smart, si suppone che raccolgano informazioni e che le integrino e le mettano a disposizione in modo centralizzato”, spiega l’esperto a Formiche.net.

“Non ci sono dubbi sulle implicazioni per la sicurezza nazionale, ma è difficile dire quanto sia grave questa minaccia. Ritengo che, data la portata, sia piuttosto significativa: si stima che coprono il 70-80% del mercato globale”, continua. “È per questo che non le considererei individualmente come sensori di intelligence di alto livello. È un’affermazione esagerata. Servono principalmente per il carico e lo scarico delle navi. Ma si collegano digitalmente con i container. E tutto questo ha vantaggi commerciali, ma anche un valore di intelligence”, dice Kardon.

Come porre fine a questi rischi alla luce dello strapotere delle gru cinesi sul mercato globale? Un interrogativo che vale per questo come per molti altri settori tecnologici (le gru sono state paragonate, non a caso, a Huawei nel 5G). Per prima cosa serve, dice Kardon, che chi prende decisioni cruciali in questi ambiti abbia contezza delle connessioni tra commercio e sicurezza nazionale. E poi, “finché gli Stati Uniti, l’Italia e gli altri Paesi non saranno disposti a escludere le imprese e la tecnologia cinesi, vivremo in un mondo con un rischio intrinseco associato a questo tipo di commercio”, aggiunge. “Gli Stati Uniti devono fornire incentivi economici per una visione più unitaria della Cina sulle due sponde dell’Atlantico, una qualche alternativa al mercato e agli investimenti cinesi. Ma è complicato, perché la Cina sarà sempre lì con un prezzo più basso e un mercato più grande”, conclude.

Gru cinesi, Kardon (Carnegie) spiega cosa rischia l’Occidente

“Non le considererei individualmente come sensori di intelligence di alto livello ma, collegandosi in rete, producono vantaggi commerciali e di intelligence per Pechino”. L’analisi di Isaac B. Kardon, senior fellow dell’Asia Program presso il Carnegie

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