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La coscienza sporca della Russia affonda in radici lontane. E Putin, che oggi si presenta al cospetto della Storia come uno fra i più violenti autocrati del nuovo millennio, è l’erede e in qualche misura il custode di una tradizione profondamente radicata. Una storia che parte dalla fine del comunismo e che arriva fino ai giorni nostri, culminando con l’attuale conflitto in Ucraina. Il libro di Federico Varese, docente di criminologia a Oxford, “La Russia in quattro criminali” (in uscita martedì prossimo per Einaudi) è la rappresentazione plastica di un filo che si ricongiunge in quattro punti. Appunto, i quattro delinquenti che hanno caratterizzato ogni decade della storia russa dagli anni ’80 a oggi. Un romanzo criminale che ripercorre e descrive con perizia scientifica non solo l’efferatezza degli atti compiuti dai corsari con la stella rossa, ma anche la palingenesi delle forme dell’agire criminoso.

Varese, partiamo dal primo criminale: Ivan’kov.

Vyacheslav Ivan’kov è un mafioso tradizionale, che inizia la sua “carriera” durante la stagione di Kruscev. Paradossalmente nel momento in cui la Russia si apre di più al mondo. Si affermò ben presto come personaggio temuto: riusciva ad arrivare dove non arrivava lo Stato. In particolare, gli uomini d’affari che non riuscivano ad avere un’interlocuzione con lo stato, si rivolgevano a lui per dirimere – a modo Ivan’kov – le controversie. La gestione violenta del mercato, sostanzialmente, passava da lui.

All’interno del libro lei identifica nel 1993 l’anno di svolta. L’inizio della torsione autoritaria di cui Putin è l’incarnazione e il fautore più pedissequo. Perché?

L’inversione autoritari in Russia corrisponde con l’arrivo di Yeltsin. Ci fu, su di lui, da parte di molti osservatori, un gravissimo errore di valutazione. Tant’è che molti, inizialmente, pensarono che con Yeltsin si sarebbe compiuto il percorso di apertura democratica della Russia. In realtà, a ben guardare, Yeltsin bloccò questo percorso. E, nel 1993, bombardò il Parlamento.

Il secondo criminale che lei identifica apparteneva all’entourage di Yeltsin. 

Sì, Boris Berezovsky. Un affarista senza scrupoli, che truffò il popolo russo e lo Stato. In qualche modo, rispetto a Ivan’kov, lui rappresenta un’evoluzione sotto il profilo dell’approccio criminale e mafioso. Diventando consigliere di Yeltsin, Berezovsky tra le altre cose ebbe nelle sue disponibilità diverse risorse destinate agli oligarchi russi.

Dunque c’è una linea di continuità tra Yeltsin e Putin?

Certo, e anche il caso Berezovsky ne è in qualche modo un richiamo. Yeltsin, al pari di Putin, si circondò di fedeli oligarchi disposti a tutto. Ed è questa, in fondo, la tesi del libro. L’autoritarismo in Russia inizia ben prima rispetto all’attuale autocrate, sebbene lui ne rappresenti l’esasperazione. Putin è un pericoloso dittatore, ma Yeltsin non era certo un fulgido esempio di esponente democratico. Anche perché non va dimenticata l’introduzione di una costituzione particolarmente autoritaria nel 1994.

Il caso di Sergei Savelyev, raccontato nel libro, rivela una sorta di contrasto al regime. 

Lui trafugò, dopo essere stato arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti, immagini e video agghiaccianti di violenze di gruppo perpetrate nelle carceri russe. Materiale che è stato recentemente diffuso da un’organizzazione non governativa franco-russa nel novembre scorso. Video che documentano come chi si oppone al regime viene trattato dal Cremlino.

Infine, il criminale più emblematico della Russia di Putin, Nikita Kuzmin. 

Il suo virus informatico, Gozi, è tra i più potenti mai concepiti al mondo. Kuzmin rappresenta l’archetipo della quinta colonna del regime. Questi hacker agiscono in nome e per conto del Cremlino laddove la federazione Russa decida di ingaggiare una guerra cibernetica contro l’Occidente.

Putin e le radici dell'odio. I "quattro criminali" russi spiegati da Varese (Oxford)

Il docente di criminologia: “L’autoritarismo in Russia inizia ben prima rispetto all’attuale autocrate, sebbene lui ne rappresenti l’esasperazione. Putin è un pericoloso dittatore, ma Yeltsin non era certo un fulgido esempio di esponente democratico”

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