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Xi Jinping è stato eletto segretario generale del 20° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (CCP) durante la prima sessione plenaria del Comitato tenutasi domenica, secondo quanto riportato in un comunicato ufficiale. Questo significa che siamo contemporanei di colui che sarà ricordato come uno dei più significativi leader della storia della Cina.

Alla sessione hanno partecipato 203 membri del 20° Comitato centrale del CCP ed è stata presieduta dallo stesso Xi, in quanto già segretario per due mandati. Quello che ha ottenuto oggi è un terzo, storico e unico finora, incarico, frutto di modifiche costituzionali fatte appositamente. Durante la sessione Xi è stato anche nominato — come da prassi — presidente della Commissione militare centrale del CCP, ossia capo delle Forze armate cinesi, e capo dello Stato.

I membri del Comitato permanente dell’Ufficio politico (Politburo) del Comitato centrale del Partito eletti durante la sessione sono Xi Jinping, Li Qiang (il nuovo premier), Zhao Leji, Wang Huning, Cai Qi, Ding Xuexiang e Li Xi.

Durante la sessione sono stati eletti anche i membri dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito e i membri della Commissione militare centrale. Segretario,  vicesegretari e i membri del Comitato permanente della Commissione centrale per l’ispezione della disciplina (CCDI) eletti sono stati tutti approvati dalla “sessione”.

È un momento cruciale per la Cina. Da oggi parte ufficialmente il nuovo mandato di Xi, che seguirà in continuità i precedenti, ma avrà anche degli elementi di rinnovamento e spinta — sia per la crescita interna che sul piano dell’attività internazionale, globale.

Xi, incontrando la stampa presso la Grande Sala del Popolo di Pechino, ha dichiarato che il Congresso è l’asta che tiene alta la bandiera, unisce le forze e promuove la solidarietà e la dedizione. Poi ha aggiunto che il Partito, il cuore dello stato, deve sempre agire per il popolo e fare affidamento sul popolo nel cammino che lo attende.

Tra le sue parole più significative, ha espresso l’impegno della Cina a promuovere la costruzione di una comunità umana per un futuro condiviso. “Lavoreremo con i popoli di tutti gli altri Paesi per sostenere i valori condivisi dall’umanità di pace, sviluppo, equità, giustizia, democrazia e libertà per salvaguardare la pace globale e promuovere lo sviluppo globale, continuando a promuovere la costruzione di una comunità umana con un futuro condiviso”.

È una dichiarazione programmatica sulla profondità del ruolo che Xi intende per la Cina nel mondo e sulla sua globalità — che è d’altronde il tratto distintivo della sua leadership, l’aver reso la Cina della sua “New Era” un attore globale, in grado di condizionare le dinamiche internazionali.

Con il terzo mandato, Xi si è creato attorno un potere illimitato — in Cina e indirettamente sul mondo — circondandosi di figure di estrema fiducia e cancellando regole decennali pur di consolidare la sua presa. Quanto è accaduto ieri, sabato 22 ottobre, al vecchio leader Hu Jintaoestromesso dalla seduta conclusiva del Congresso, sotto gli occhi dei giornalisti internazionali invitati — è emblematico.

Non c’è niente di ufficiale sull’accaduto (e probabilmente mai ci sarà), e forse è presto per considerazioni, ricostruzioni, indiscrezioni. Tuttavia tra i rumor più consistenti: pare che Hu Jintao — predecessore di Xi dal 2003 al 2013 — sia stato bloccato mentre si apprestava a proporre un voto contro Xi Jinping: non un terzo mandato, ma le sue dimissioni (secondo le precedenti regole).

La proposta doveva essere sostenuta da altri quattro membri del precedente Comitato Centrale del Politburo, e in quel caso avrebbe potuto avere la maggioranza. Sarebbe stato un golpe interno al Partito/Stato, visto che del terzo mandato se ne parla da molto tempo ed era quasi scontato che Xi ne sarebbe uscito incaricato dal Congresso. Chi avrebbe sostenuto Hu nel Politburo? Come questa eventuale decisone sarebbe stata assorbita dalla popolazione e dall’establishment politico, economico, militare? E soprattutto: è credibile questo estremo tentativo di Hu?

Col passare del tempo si potranno comprendere sviluppi, anche osservando l’andamento del mandato e le dinamiche del Partito. Intanto Xi si è rafforzato “con una presa sul potere che è ancora oltre le nostre aspettative”, come ha spiegato Yang Zhang dell’American University School of International Services (Ausis), il quale definisce il leader cinese “un imperatore moderno”.

L’apice del potere di Xi è appena iniziato, perché difficilmente questo terzo mandato sarà l’ultimo. Dalla sua c’è la componente biologica, ha 69 anni e leader storici — quelli con cui si paragona — come Mao Zedong e Deng Xiaping hanno governato fino a 83 e 85 anni. E la regola dell’età è ormai saltata in funzione degli interessi di Xi: Li Keqiang, Wang Yang, e Chen Quanguo — considerati più ostili — sono stati fatti fuori dal Comitato permanente anche se avevano 67 anni, mentre altri sono nel Poltiburo anche se superano i 69.

Altra regola violata: Li Qiang diventa premier senza essere stato vice-premier, con la principale virtù di essere un fedelissimo del leader totale. La sua promozione dimostra a tutti, come spiega il docente della Ausis, che “la lealtà piuttosto che la popolarità è la chiave per la tua promozione”. Li, governatore (signore) di Shangai, ha il peso della disastrosa gestione del lockdown che per settimane ha compresso le libertà individuali della più vitale e brillante città cinese. Ma questo non ha fermato la sua ascesa, proprio perché ha seguito l’ordine di Xi — la draconiana “Covid Zero Policy” — nonostante sia finito sotto critiche pubbliche da parte della cittadinanza, e sotto le polemiche internazionali perché bloccare Shanghai (e altri importanti città della Repubblica popolare) ha ingolfato le supply chain globali.

Li ha gestito la situazione per conto di Xi, ha fatto da parafulmine ed è stato premiato. Quello che passa dalla sua nomina è un messaggio enorme, molto utile per il leader. Tuttavia per il momento non si intravede una successione, anche perché è troppo presto (anagraficamente) e nessuno osa far pensare a sé come un potenziale successore per non correre il rischio di essere considerato un competitor.

Li è “un perfetto tecnocrate per l’imperatore”, spiega il professore Yang, ricordando che il nuovo premier manca di ogni genere di esperienza nei sistemi centrali del Partito e dello Stato — ma è l’unico nella storia della Cina ad aver governato partito e stato a Zhejiang (2012) Jiangsu (2016) e Shanghai (2017). Questo lo rende ancora meglio gestibile per Xi, che sarà il mentore che lo guiderà tra i gangli centrali del potere.

Un processo di saldatura della fiducia reciproca che passa anche dall’incarico di vice premiership a Ding Xuexiang, neo-eletto nel Comitato centrale dopo aver fatto parte dei team operativi di Xi negli anni di ascesa al potere. È in divenire un processo medioevale tra il potere cinese: il leader, come il re, è indiscutibile e più gli si è vicini e fedeli, più facilmente si cresce. Questo significa che anche il Consiglio di Stato — il governo guidato da Li e Ding — sarà più o meno totalmente dipendente dal Partito, ossia da Xi.

Xi ottiene il terzo mandato e segna da vivente la storia della Cina

Tra i rumor più consistenti si sussurra che Hu Jintao  sia stato bloccato mentre si apprestava a proporre un voto contro il presidente. È saltata la regola dei limiti d’età, con i membri ostili a Xi Jinping che vengono “pensionati” prima di aver raggiunto i limiti, mentre i fedelissimi restano pur essendo over-68. Li Qiang diventa premier senza essere stato vice-premier. La sua gestione di Shanghai al grido di Zero Covid, contestata da cittadini e aziende, è stata una perfetta dimostrazione di fedeltà al leader

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