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Questa finanziaria (che non è un punto finale ma l’avvio di un percorso e di un dialogo tra governo, opposizione e società civile) dimostra come le differenze tra destra e sinistra non sono più quelle di una volta. Destra e sinistra in Italia hanno oggi entrambe sensibilità sociale (in questa manovra c’è riduzione del cuneo fiscale combinata con progressività, intervento su pensioni minime e idea social card) ma la esprimono in modo differente. Molte delle differenze radicali sbandierate in campagna elettorale si riducono e di molto al dunque dei vincoli comunitari e di bilancio.

Uno dei terreni di scontro principale resta quello del reddito di cittadinanza. L’intento di abolire il metadone dei poveri si trasforma per ora in una riduzione da 12 ad 8 mensilità della misura per i cosiddetti occupabili. Approccio che incontra problemi quando ci scontriamo con il problema dei lavoratori poveri, fenomeno sempre più diffuso, dove non ci sono occupabili o non occupabili ma persone che lavorano ma hanno salari troppo bassi per permettere l’uscita dalla soglia di povertà del proprio nucleo familiare.

Sarebbe molto meglio però che il governo si misurasse con le scelte di tutti gli altri Paesi Ue che hanno il reddito di cittadinanza anche per gli occupabili ma lo modulano in modo differente. La questione fondamentale è ridurre il rischio di abusi ed aumentare le opportunità di reinserimento lavoro. Questo all’estero avviene con un’offerta obbligatoria di corsi di formazione e con la possibilità di lavori socialmente utili (in Italia i piani di utilità collettiva che però hanno avuto applicazione solo parziale fino ad oggi). Formazione e lavori socialmente utili diventano strumenti per evitare gli abusi rendendo impossibile o scarsamente praticabile la contemporaneità di percezione del reddito di cittadinanza e lavoro in nero.

L’orizzonte di tutti è in fondo lo stesso e coincide con la visione dell’economia civile. Soddisfazione e ricchezza di senso di vita c’è quando siamo generativi, ovvero siamo attivi e quello che facciamo contribuisce il progresso nostro e della società. Il reddito di cittadinanza è una rete di protezione contro la povertà che non può essere fine ma deve essere mezzo per promuovere l’obiettivo dell’inclusione. Che come economia civile pratichiamo dal basso e concretamente attraverso la cooperazione sociale di tipo B che fa reinserimento lavoro di categorie disagiate attraverso ad esempio i progetti di lavoro in carcere, di agricoltura sociale che favoriscono il reinserimento per la disabilità psichica e fisica. Realizzando quello scambio ricco di senso, di valore economico e di valori che avviene quando favoriamo l’opportunità di reinserimento di chi è scartato e ai margini.

Se fossimo fedeli fino in fondo al principio della sussidiarietà e della visione migliore possibile di una politica che diventa levatrice delle energie della società civile lavoreremmo per favorire questi percorsi di reinserimento che già esistono e funzionano nel nostro paese.
In sintesi non aboliamo il reddito di cittadinanza per gli occupabili ma trasformiamolo in un reddito di reinserimento che li colloca all’interno di percorsi di reinserimento lavoro che tante delle nostre realtà più illuminate praticano sui territori.

Il reddito di cittadinanza alla prova degli occupabili. La proposta di Becchetti

Sarebbe molto meglio che il governo si misurasse con le scelte di tutti gli altri Paesi Ue che hanno il reddito di cittadinanza anche per gli occupabili, ma lo modulano in modo differente. Perché la questione fondamentale è ridurre il rischio di abusi ed aumentare le opportunità di reinserimento lavoro. La proposta di Leonardo Becchetti

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