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Tanto tuonò che piovve. E così la Commissione europea ha presentato, lo scorso 30 novembre, la proposta di Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, nonostante tante polemiche avesse suscitato nei giorni precedenti la sua anticipazione tra imprenditori e addetti ai lavori, specialmente nel nostro Paese. E anche da esponenti del governo Meloni. Ne avevamo già parlato su questo giornale. Adesso abbiamo il testo definitivo sul quale dovranno esprimersi Parlamento e Consiglio. Con non pochi mal di pancia tra gli Stati membri, soprattutto per la forma di diritto che la Commissione ha voluto adottare: il regolamento anziché la direttiva. La differenza non è da poco, ma da Bruxelles si è voluto andare avanti nonostante tutto.

A smussare gli angoli ci ha provato il vice presidente della Commissione con delega al Green Deal Frans Timmermans, (parlando non a caso in italiano), nel corso della presentazione della proposta di regolamento, precisando che “il riuso non è in competizione con il riciclo; abbiamo bisogno di entrambi gli strumenti, nessuno vuole mettere fine alla pratiche di riciclo che funzionano bene: so che in Italia moltissimo è stato fatto; noi vogliamo si faccia ancora di più, non di meno”. La risposta italiana non si è fatta attendere. Il governo, con la vice ministro all’Ambiente Vannia Gava (in foto), ha dato voce alle tante critiche che da più parti si erano già levate ancor prima della presentazione ufficiale.

“La proposta di regolamento sugli imballaggi presentata dal vicepresidente Timmermans e dal Commissario Sinkevicius conferma tutte le criticità che imprese e governo hanno evidenziato nei giorni scorsi: un muro ideologico, l’assenza di apertura al confronto e l’inadeguatezza davanti a situazioni di eccellenza come quella del nostro Paese”, è il commento della vice ministro che promette un confronto serio e ragionevole al tavolo del Consiglio Ue. “Se favorire il riciclo significa obbligare gli Stati a organizzare sistemi di deposito e ritiro – ha proseguito la Gava – allora si vuole smantellare il sistema dei consorzi in Italia. Consorzi che garantiscono gli eccellenti livelli di riciclo con cui l’Italia ha superato con nove anni di anticipo i target Ue, fondamentali per rigenerare i prodotti, conveniente per i produttori, che fungono da stimolo costante allo sviluppo di sistemi innovativi per la creazione di materie prime seconde”.

Nelle intenzioni della Commissione la nuova formulazione del regolamento dovrebbe garantire una riduzione dei rifiuti di imballaggio del 15% entro il 2040 (rispetto al 2018) oltre a rendere tutti gli imballaggi riciclabili entro il 2030 in modo economicamente sostenibile. Viene regolamentata anche la quantità di materia prima seconda che dovrà essere presente negli imballaggi: per quelli a contatto con gli alimenti (cosiddetti “sensibili”) il 30% dal 2030; il 50% dal 2040. Per le bottiglie di plastica monouso per bevande 30% al 2030 e 65% al 2040. Per tutti gli altri imballaggi, 35% al 2030 e 65% al 2040. Per quanto riguarda il riuso “entro il 2030 e il 2040, rispettivamente il 20% e l’80% delle bevande fredde e calde dovrà essere venduto in contenitori che fanno parte di un sistema di riutilizzo”.

Secondo le stime di Bruxelles tutto questo dovrebbe portare vantaggi sia economici che ambientali a livello continentale: emissioni di gas serra evitate, minori danni ambientali, più posti di lavoro. Ma è un po’ come la statistica di Trilussa: non tiene conto delle realtà dei singoli Stati e delle diverse performance cui sono giunti in termini di riciclo. E degli investimenti, che in questo settore e in questo senso sono stati fatti e sono in corso da parte degli imprenditori. In Italia sicuramente, con risultati che pongono il nostro Paese all’avanguardia in Europa. Per questo tante critiche si sono levate all’indirizzo della Commissione, proprio perché ha omologato tutti sullo stesso piano. E la stessa scelta del regolamento anziché della direttiva è in contrasto con il concetto di adattabilità al contesto di riferimento che dovrebbe contraddistinguere una normativa sovranazionale.

Con questo provvedimento, si fa notare nei settori industriali e commerciali del comparto, la Commissione entra nel merito delle modalità da adottare a livello locale per il raggiungimento dei nuovi obiettivi, sia nella gestione dei rifiuti di imballaggio, sia nelle scelte di progettazione degli imballaggi. Imponendo un modello, con relativi costi a carico di produttori e utilizzatori, senza considerare i livelli di efficacia e di efficienza raggiunti, dopo 25 anni di formazione e scelte di intervento da parte degli stessi Stati membri. Scelte che hanno improntato lo sviluppo di infrastrutture e investimenti nella gestione dei rifiuti degli imballaggi, creando negli anni un intero settore che ha portato alla nascita di veri e propri mercati delle materie prime seconde.

In questo contesto un approccio così verticale e uguale per tutti i 27 Stati membri, rischia di penalizzare maggiormente chi in questi anni ha prodotto maggiori sforzi per trovare soluzioni adatte rispetto al proprio tessuto produttivo e alla regolamentazione locale, con il rischio di vanificare anni di innovazioni e investimenti. Penalizzando soprattutto le realtà più virtuose come il nostro Paese che è primo fra i grandi Stati europei per riciclo pro-capite dei rifiuti di imballaggio e che ha nel proprio tessuto produttivo realtà tecnologicamente più avanzate di raccolta, selezione e riciclo degli imballaggi.

D’altronde tutti i numeri parlano chiaro. Negli ultimi venticinque anni in Italia sono stati avviati a riciclo 170 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio. Il sistema dei Consorzi ha versato ai Comuni italiani, grazie all’Accordo Anci-Conai, 7 miliardi 370 milioni di euro per coprire i maggiori costi della raccolta differenziata. Nel 2020 il nostro Paese aveva già superato gli obiettivi di riciclo previsti dalle direttive europee al 2025 e al 2030. Tutta l’industria del riciclo è in forte crescita e si pone ai vertici tra i Paesi dell’Unione.

La partita è appena cominciata e, viste le premesse, si annuncia lunga e di non facile soluzione. Anche perché il nostro governo è intenzionato a far valere le ragioni degli imprenditori di casa nostra in tutte le sedi istituzionali. Almeno a giudicare dalle prime prese di posizione. A cominciare dal ministero dell’Ambiente e dalla sua battagliera vice ministro Vannia Gava: “Non molleremo e daremo battaglia. Il sistema del vuoto a rendere proposto dall’Ue, con tanto di cauzione a carico dei consumatori, può costare fino a dieci volte di più dell’attuale sistema di raccolta differenziata. Se la direttiva imballaggi non ha trovato la giusta applicazione in alcuni Paesi, non si capisce perché debbano essere puniti i Paesi più efficienti, i cui modelli di gestione dei rifiuti sono delle best practices che andrebbero imitate. Le imprese hanno chiesto di incentivare il riciclo, non di affossare un intero comparto industriale”.

Imballaggi, da Bruxelles un muro ideologico che smantella il sistema dei consorzi

Negli ultimi venticinque anni in Italia sono stati avviati a riciclo 170 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio. Il sistema dei Consorzi ha versato ai Comuni italiani, grazie all’Accordo Anci-Conai, 7 miliardi 370 milioni di euro per coprire i maggiori costi della raccolta differenziata. Il nuovo regolamento europeo rischierebbe di penalizzare chi per anni ha innovato e investito nel settore

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