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“È chiaro che l’Opec+ si sia allineato con la Russia dopo l’annuncio di oggi”, ha detto la Casa Bianca, dopo aver fatto uscire in mattinata alcune delle bozze di discussione sul briefing settimanale di lunedì che inquadravano la prospettiva di un taglio della produzione decisa dall’organizzazione come un “disastro totale”, e avvertivano che potrebbe essere preso come un “atto ostile” dagli Stati Uniti.

D’altronde, il presidente Joe Biden si era speso in prima persona per evitare che l’organizzazione dei produttori prendesse la decisione che annuncia oggi, mercoledì 5 ottobre: ossia tagliare di due milione di barili le produzioni petrolifere. La scelta, chiaramente guidata dall’Arabia Saudita, primo produttore al mondo per distacco, è stata presa dal formato Opec+, il meccanismo di dialogo decisionale allargato alla Russia.

C’è già chi dice che è una vittoria per Vladimir Putin, che ne esce molto meno isolato di quello che appare, perché potrà contare sul rialzo dei prezzi conseguente al taglio produttivo. Ossia, Mosca avrà incassi superiori dalle vendite petrolifere, che mentre subiscono la contrazione di acquisto legata alle decisioni Ue, continueranno ad andare bene con clienti giganteschi come Cina e India.

La scelta dell’Opec+ arriva insieme alla decisone europea di procedere con le basi legali per introdurre un price cap sul petrolio russo per i paesi terzi. La mossa nel nuovo pacchetto (l’ottavo) di sanzioni punitive per l’invasione ucraina, approvato sempre oggi dai 27 stati dell’Unione, durante la riunione del Coreper, la riunione dei Rappresentanti dei paesi membri.

L’obiettivo europeo è contenere le entrate con cui Mosca finanzia la guerra, permettendo un flusso di petrolio russo attorno ai 48/55 dollari al barile — stando alle stime di S&P Global Commodity Insights. Valori molto inferiori a quelli fissato dal bilancio statale russo — che ruotano attorno ai 70 dollari al barile.

“Siamo stati chiari sul fatto che l’offerta di energia deve soddisfare la domanda per sostenere la crescita economica e abbassare i prezzi per i consumatori di tutto il mondo e continueremo a parlarne con i nostri partner”, ha detto il consiglio di Sicurezza nazionale statunitense in un comunicato inviato alla CNN. Ma privatamente i funzionari statunitensi hanno preso una linea molto meno diplomatica.

Per Biden, una drastica riduzione della produzione di petrolio non sarebbe potuta arrivare in un momento peggiore. L’amministrazione si è impegnata per mesi in un intenso sforzo di politica interna ed estera per mitigare l’impennata dei prezzi dell’energia sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina. Questo lavoro sembra aver dato i suoi frutti, con un calo dei prezzi della benzina negli Stati Uniti per quasi 100 giorni di fila.

Ma a un mese dalle elezioni di metà mandato, i prezzi della benzina negli Stati Uniti hanno ricominciato a salire, con un rischio politico che la Casa Bianca sta cercando disperatamente di evitare. Le pressioni sull’introduzione del price cap europeo fatte dal Tesoro erano legate anche a questo quadro, oltre al taglio dei fondi disponibili per il Cremlino.

Nelle ultime settimane, i funzionari statunitensi si sono mossi per valutare le potenziali opzioni nazionali per evitare un aumento graduale, ma la notizia di un’importante azione dell’Opec+ rappresenta una sfida particolarmente acuta.

Della decisione presa dall’Opec vengono incolpati sauditi ed emiratini, che dell’organizzazione sono i motori. D’altronde sono quelli i partner che “hanno shockato” la Casa Bianca, per usare le parole di un funzionario che ha commentato anonimamente con la CNN.

Ma Riad e Abu Dhabi devono proteggere i propri interessi e nelle dinamiche di accrescimento del proprio standing internazionale c’è anche l’emancipazione su certe decisioni sovrane strategiche.

A settembre il prezzo benchmark del Brent è sceso fino a 85 dollari dal picco di 120 dollari di giugno, mentre i Paesi Opec valutano che non debba toccare cifre inferiori ai 90 dollari. Il taglio previsto potrebbe comunque farlo arrestare attorno ai 100 dollari.

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