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“Ora accelereremo le procedure per un Congresso che deve essere di profonda riflessione. Io assicurerò la guida del partito in spirito di servizio in vista del Congresso ma non mi presenterò candidato. È tempo che una nuova generazione si metta all’opera”. È un addio senza traumi, quello di Enrico Letta , ma anche senza appello: portare a termine il percorso iniziato il 14 marzo del 2021 che si chiuderà con il prossimo Congresso del Pd in cui sarà inevitabile, spiega il segretario, ripensare il partito.

Un passo di lato, quello di Letta, che arriva dopo numeri non confortanti per il Pd: sotto il 20% a livello nazionale. Secondo il segretario Letta, che ha parlato questa mattina dopo una lunga riflessione notturna, il Partito democratico ha pagato una campagna elettorale in cui le “opposizioni in ordine sparso” hanno favorito la vittoria della coalizione di centrodestra. Ora, ha aggiunto Letta, “è bene che inizi la legislatura ed è bene dare il nostro contributo, però poi, in ottemperanza allo statuto ma nei tempi compatibili, bisogna arrivare al Congresso”.

Quella di Letta è, secondo l’ex ministro della Difesa e fondatore dell’Ulivo Arturo Parisi, “una scelta generosa. Forse troppo. Come definire altrimenti uno che lasciando rimane in attesa del suo successore con l’inevitabile prospettiva che il cosiddetto Congresso abbia al suo centro – indifesa – la linea uscita così pesantemente sconfitta dal voto?”. Forse un’altra strada sarebbe stata più utile? “Piuttosto di assicurare una successione graduale e ordinata – prosegue il professore -, mi chiedo se non convenga invece investire su un passaggio traumatico ed improvviso che costringa il partito a fare finalmente i conti con sé stesso, per ricominciare da capo. Se si esclude l’irruzione di Renzi, dentro la breve ed infinita storia del Pd sarebbe per più versi la prima volta per un Congresso vero. Ma una prima volta ci dovrà pur essere. Nel marzo dell’anno scorso Letta esordì dicendo ‘voglio la verità non l’unanimità’. Ebbe l’unanimità. La verità è arrivata ora”.

“Certo – aggiunge ancora Parisi a Formiche.net – se penso al passato verrebbe da dire che non c’è trauma che basti”. “Dalle dimissioni di Veltroni che lasciò senza neppure venire in Assemblea a spiegare il perché, a quelle di Zingaretti che lasciò dicendo che si vergognava del suo partito. Quanto a Letta se non è un addio alla Segreteria quello di uno che chiede di essere sostituito e che non è disposto a succedere a sé stesso, cosa è mai un addio?”, si domanda il professore. E allora? “Penso che sia giunto il momento nel quale le parole tornino ad avere il peso che meritano. Altrimenti viene meno la possibilità di parlarci”.

Ed è proprio in questo momento che iniziano a farsi avanti le prime voci del Congresso, quello che secondo il prof. Parisi dovrebbe portare il partito a fare i conti con sé stesso. Una voce di rottura è certamente quella di Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente Anci. “In queste ore sarebbe troppo facile sparare a zero sul segretario nazionale del Pd. E sarebbe inutile”, scrive su Facebook. “È l’intero modello su cui il Pd si fonda che va smantellato. Basta con i capi corrente che fanno e disfano le liste a propria immagine e somiglianza. Basta con questo esercizio del potere per il potere. Basta con l’autoconservazione come unico scopo della politica”. E ancora: “O saremo capaci, finalmente, di azzerare questi meccanismi perversi e di ritornare a parlare alle persone o la sconfitta perpetua alle elezioni politiche sarà il nostro ineluttabile destino”.

Si è chiusa insomma la partita delle elezioni politiche, ma si apre ora quella per la successione del Partito democratico. E se non è peregrino immaginare una corsa alla segreteria proprio di Decaro, allo stesso modo non sono da escludere quelle del presidente della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, per la componente riformista, e la sua vicepresidente in regione Elly Schlein, spostata però più a sinistra, così come il ministro del Lavoro del governo uscente Andrea Orlando.

Insomma, alcuni dei nomi per il prossimo congresso sembrano aver iniziato a correre, ma forse prima sarebbe opportuno porsi qualche domanda. “Parlare innanzitutto ognuno con sé stesso – conclude il fondatore dell’Ulivo -, parlarci tra noi, parlare con gli altri. Senza la risposta alla domanda su chi siamo, su chi era, per Letta, Calenda, Conte, Fratoianni, Draghi non è possibile né la comunicazione né la scelta. Quando ricostruiremo il processo che ha messo capo a questo disastro, si scoprirà che non è stato altro che una catena di equivoci. In politica come in guerra la verità che Letta giustamente diceva di cercare non è altro che questo”.

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