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Oltre le trivelle in Adriatico, che resuscitano permessi del passato, se si volesse scommettere davvero sul gas sarebbe utile riaprire l’offshore italiano alla prospezione sismica. Lo dice a Formiche.net Massimo Nicolazzi, esperto manager con alle spalle una solida esperienza nel settore degli idrocarburi, (Eni e Lukoil), Senior Advisor Programma Sicurezza energetica Ispi.

Le trivelle in Adriatico sono una mossa strategica per l’Italia?

Dobbiamo intenderci su che cosa dice la norma: resuscita cinque permessi esplorativi e due concessioni di produzione che erano state messe temporaneamente in sonno, ma non consente di operare al di fuori di queste aree che sono dei titoli minerari preesistenti. Nella relazione di accompagnamento si parla, in realtà, di un target di nuova produzione di 15 miliardi di mc in 10 anni. Noi l’anno scorso abbiamo consumato 74 miliardi. Per cui è un’operazione, per come è fatta adesso, che non riapre la ricerca di idrocarburi sul territorio nazionale e nel mare italiano ma che, delimitando delle aree già individuate, cerca di creare una fonte di sicurezza di approvvigionamento a prezzo agevolato per clienti energivori. Chiunque lavori su quelle due concessioni o su quei cinque permessi lo può fare solo se cede parte della produzione al GSE che a sua volta la rivende a clienti energivori selezionati.

Ovvero?

Si tratta di un’operazione limitata nell’estensione e nei volumi e fondamentalmente dedicata a dare un prezzo di rifornimento alle aziende energivore del paese. Se in seguito si volesse riaprire davvero il gas allora si dovrebbe anzitutto riaprire l’offshore italiano alla prospezione sismica. Tutto l’Adriatico è stato mappato dall’Eni anni fa, però credo che Eni per prima direbbe che con la sismica di 15 anni prima Zohr in Egitto non lo avrebbero forse mai individuato. Solo una nuova campagna sismica fatta con le tecniche attuali ci consentirebbe di aggiornare il nostro potenziale.

Nello Ionio e nel Mediterraneo centro-orientale c’è un attivismo notevole, come dimostrano le indagini di Exxon in Grecia: come sfruttare l’occasione?

Chi deve fare degli investimenti in grandi infrastrutture ha necessariamente bisogno di un tempo di 15/20 anni per il ritorno pieno. La contraddizione sta nel fatto che noi abbiamo bisogno di nuovo gas a breve, e però via decarbonizzazione prevediamo nel medio lungo una forte contrazione in valore assoluto dei consumi di metano. Il programma di decarbonizzazione se rispettato rende incerta la possibilità di ammortizzare appieno nuovi investimenti infrastrutturali.

Di fatto questa contraddizione sta disegnando una linea che divide il Mediterraneo. Al di sotto di quella linea si cercano voracemente nuove scoperte e lì si è scoperto la montagna di gas del Mediterraneo Orientale. Invece sopra quella linea non si fanno quasi più attività, a dimostrazione della differenza che passa tra il Mediterraneo comunitario e quello che non lo è.

Israele-Libano, Turchia-Libia: cosa cambia con i nuovi accordi sulla zee?

Il turco-libico sinceramente non so quanto vada oltre stampa e propaganda, mentre invece l’accordo tra Israele e Libano spalanca la porta a una piena ricerca e allo sviluppo delle risorse nell’est mediterraneo. Non dimentichiamo che restano intatte le perplessità sul gasdotto che viene da Cipro per la ragione che ho osservato poc’anzi: per investirci dentro servono garanzie assicurative del ritorno.

Quale il primo effetto?

Che le nuove infrastrutture o hanno sostegno pubblico o non verranno realizzate.

Per il Mediterraneo orientale quale l’ipotesi oggi più realistica?

Che Israele e Libano vadano in direzione opposta rispetto a Cipro. Ovvero un tubo off shore che collega Leviathan e gli altri due grandi giacimenti israeliani all’Egitto; liquefazione lì; e in seguito la nave andrà dove la porterà il prezzo.

Con che tempi?

Se decidono di farlo si può fare in uno/due anni.

Il raddoppio dei flussi nel Tap come si legherà ai rigassificatori programmati in Italia e alle nuove politiche energetiche?

Per il raddoppio dei flussi il Tap prevede quattro anni. Senza il gas russo nell’immediato serve avere più GNL disponibile e per soddisfare pienamente la domanda serve più capacità di liquefazione. Non è che l’anno prossimo aumenti di molto. Poi il Qatar farà 25% in più e ci sarà ulteriore capacità negli Stati Uniti, in Mediterraneo e altrove. Però si comincerà a sentire tra due inverni, non il prossimo. Senza il russo nel breve siamo tendenzialmente corti; e non dimentichiamo che siamo arrivati in 18 mesi a pagare il gas da 20 € a 349 (lo scorso agosto) per megawattora.

Quindi per il 2023 abbiamo comunque un grosso problema? C’è anche la possibilità di stoccare di meno?

Dipende da quanto si è disposti a pagare e da quando attraccherà il nuovo rigassificatore, ovvero se sarà in tempo utile per cominciare a lavorare anche in funzione degli stoccaggi: ci sono tutta una serie di variabili in gioco. La previsione più ricorrente è che tra il caldo di queste settimane e gli stoccaggi pieni, quest’inverno ce la caveremo, però rischiamo di trovarci con gli stoccaggi vuoti a fine stagione e di ricominciare la meravigliosa corsa allo stoccaggio il prossimo luglio: con la conseguenza che i prezzi potrebbero tornare oltre le stelle. Anche l’amministratore delegato di Eni si è del resto detto molto più preoccupato per l’anno prossimo che non per quest’anno.

@FDepalo

Il vero jolly sul gas? Riaprire l'offshore italiano. La zampata di Nicolazzi

“Nella relazione di accompagnamento si parla, in realtà, di un target di nuova produzione di 15 miliardi di mc in 10 anni. Noi l’anno scorso abbiamo consumato 74 miliardi. La previsione più ricorrente è che tra il caldo di queste settimane e gli stoccaggi pieni, quest’inverno ce la caveremo, però rischiamo di trovarci con gli stoccaggi vuoti a fine stagione”. La questione del ritorno sugli investimenti

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