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Interessi convergenti, strategie divergenti. Il boomerang per Vladimir Putin della sempre più fallimentare invasione dell’Ucraina ed i contraccolpi economici del braccio di ferro con gli Stati Uniti per Xi Jinping conferiscono un particolare effetto tattico e geopolitico al 22° vertice della Shanghai Cooperation Organization, che riunisce Cina, Russia, India, Pakistan, Kirghizistan e Tajikistan.

La mano tesa del Presidente Cinese a Putin sottolinea la capacità di essersi assicurato “pacificamente”, senza spargimenti di suicidi e incidenti, un terzo mandato di leader militare e politico assoluto ed essere riuscito a proiettare Pechino ai vertici dell’economia globale, in grado di contendere il primato di Washington.

Il leader russo ha invece glissato sulla critica situazione militare sul fronte ucraino ed ha rilanciato sulla formazione di un ordine mondiale multipolare antioccidentale in generale e antiamericano in particolare. Nel corollario dei colloqui fra Xi e Putin, strettamente connessi all’evoluzione della guerra in Ucraina e alle sanzioni contro Mosca ed al contrasto con gli Usa per Taiwan, comprendente il più vasto contesto dello scontro fra le due superpotenze, si inserisce anche il ruolo dell’India e dell’Iran.

Alla consueta equidistanza di Nuova Delhi che presiede il summit ed ospiterà l’edizione del 2023 della Shanghai Cooperation Organization, si aggiunge l’evoluzione dell’alleanza con il Giappone in chiave commerciale e difensiva anticinese. Contemporaneamente l’India sfrutta il vantaggio di partecipare al dibattito russo cinese ed alle discussioni sul futuro dell’Afghanistan, e soprattutto di scrutare le chance dei rapporti internazionali del confinante nemico Pakistan.

Per Teheran, di converso, si prospetta la possibilità di entrare nella Shanghai Organization. Un’opportunità per sfuggire al peso delle sanzioni e supportare politicamente il sempre più dittatoriale e repressivo regime teocratico, mentre sono in stallo i negoziati per il congelamento del programma nucleare iraniano con Stati Uniti Francia, Gran Bretagna e Germania.

A Samarcanda le suggestioni della leggendaria capitale dell’ Uzbekistan, evocate nel libro dello storico Franco Cardini e dal refrain “oh oh cavallo” della ormai mitologica canzone di Roberto Vecchioni, fanno da sfondo soprattutto alla complessità del quadro globale degli obiettivi che intendono raggiungere Russia e Cina. Ma mentre per Pechino assieme allo storico imperialismo l’obiettivo immediato è delineato ed è quello dello sbocco commerciale in tutto il mondo dei prodotti cinesi, per Mosca la situazione si è notevolmente aggrovigliata.

Nonostante le prospettive di alleanze indo – asiatiche, che tuttavia realisticamente devono tenere conto dell’attitudine egemonica della Cina e della dipendenza culturale ed economica dell’India dall’occidente, il ruolo russo rimane principalmente proteso verso l’Europa. Unione europea diventata a sua volta, quanto meno economicamente, una superpotenza che assieme agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna non può consentire mai all’attuale regime assolutistico, per non dire altro, del Cremlino di invadere militarmente e devastare i Paesi confinanti. Perpetuando la tragica linea di frattura con l’occidente che ha visto la Russia sempre perdente. Tranne nell’ultima guerra mondiale, quando dopo essersi spartita la Polonia con Hitler, è stata invasa dai nazisti ed è riuscita a resistere e a vincere soltanto grazie al gigantesco apporto militare e alimentare degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.

Paradossalmente è la stessa situazione, ma a parti rovesciate, che Putin sta determinando contro l’Ucraina. Con Washington, Londra, la Nato e l’Europa che sostengono Kiev come ieri sostenevano Mosca contro il nazismo. Un nazismo che sembra essersi reincarnato al Cremlino.

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