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Il Vaticano ha fatto sapere alla Reuters, tramite una fonte anonima, che papa Francesco era disposto a incontrare il leader cinese Xi Jinping mentre entrambi i leader si trovavano nella capitale kazaka. Ma la Cina ha risposto che non c’era abbastanza tempo.

Xi era a Nur Sultan per la sua prima visita di stato post-Covid — diretto a Samarcanda per l’incontro della Shanghai Cooperation Organization —mentre il pontefice era nella capitale kazaka per un incontro interreligioso.

La fonte della Reuters non ha fornito dettagli su come o quando il Vaticano si sia rivolto alla Cina, con la quale è coinvolto in un delicato dialogo sullo status della Chiesa cattolica romana nel Paese. Quello che si sa è che è stata offerta “un’espressione di disponibilità”. La parte cinese avrebbe “apprezzato il gesto”, ma che non c’era tempo libero nell’agenda di Xi.

L’aspetto legato al tempo e all’agenda è reale: per quanto noto a Formiche.net, Xi è stato a Nur Sultan (la capitale kazaka che tornerà a breve a chiamarsi Astana) dalle 14 alle 19 di martedì 14 settembre, e aveva una serie di appuntamenti fissati. Poi sarebbe volato in Uzbekistan. A Samarcanda lo attendevano svariati bilaterali con tutti i capi di stato delle repubbliche centroasiatiche (regione che per la Cina è strategica) e quelli con il russo Vladimir Putin, il turco Recep Tayyp Erdogan e l’iraniano Ebrahim Raisi.

Avviare un contatto diretto tra il Papa e il segretario del Partito Comunista Cinese, nonostante le relazioni in corso tra Vaticano e Cina, significa dare maggiore spazio alla possibilità di successive aperture nei confronti dei cristiani cinesi. Un passaggio complicato che richiede riflessioni è un percorso interno al Partito che Xi non può improvvisare, a maggior ragione m adesso, a meno di un mese dal congresso che dovrà consolidarlo leader per un terzo, storico mandato. Che tra l’altro arriverà in un momento meno roseo del previsto in termini di crescita economica e sviluppo globale.

Parlando con i giornalisti che lo accompagnavano sul volo per la repubblica centroasiatica martedì, a Francesco è stato chiesto se avrebbe potuto incontrare Xi nella sua capitale. Francesco ha risposto timidamente: “Non ho notizie in merito”, senza approfondire.

Anche per questo la notizia del tentativo di faccia a faccia è singolare. Vero anche che sempre in quel contesto, alla domanda se fosse pronto ad andare in Cina, Francesco aveva risposto: “Sono sempre pronto ad andare in Cina”.

Il papa — anche attraverso il lavoro del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede — ha da sempre cercato di alleggerire le relazioni storicamente cattive tra la Santa Sede e il Partito/Stato, e ha detto alla Reuters in un’intervista di luglio che sperava di rinnovare un accordo segreto e contestato sulla nomina dei vescovi cattolici in Cina. L’intesa del 2018, rinnovata nel 2020, scade a ottobre quando dovrebbe essere riavviata per altro due anni.

Un periodo in cui il Vaticano spera in un’implementazione delle relazioni con Pechino per ottenere qualcosa di più (con cui superare le discriminazioni subite per lungo tempo dai cristiani in Cina, che anche per la Chiesa è un bacino importante e futuribile).

Se là notizie della vicenda kazaka non dovesse essere smentita, allora potrebbe essere letta anche come una forma di comunicazione per indurre Xi ad accettare un successivo incontro e da lì avviare un processo di implementazione delle relazioni.

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