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(Premessa. Chiedo scusa per essere scomparso dai radar. Mi è salita, e ancora dura, una nausea verso tutto. Anche scrivere. Prima, amici e parenti ucraini e russi in guerra mi hanno fatto sentire inutile. Le parole di solidarietà servono a chi le esprime, meno a chi le riceve intrappolato in una tonnara. Poi, la scomparsa improvvisa di mia madre Olga mi ha dato la sensazione del vuoto dopo la fine. L’abbraccio delle terre d’origine erzegovesi ha rimosso il lutto senza lasciare sensi di colpa ma mi ha dirottato su un malinconico distacco.)

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In questo periodo sospeso, la surreale sorte capitata al caro amico e stimato collega Michael Giffoni è tra le poche cose capaci di farmi uscire dal torpore mentale in cui mi sono rifugiato.

Talmente grande è il senso di ingiustizia per la vicenda che lo sta colpendo, da risvegliare una reazione di protesta anche nello spirito più disincantato e assente.

I contorni del caso in oggetto sono ben noti, riportati con regolarità da quando nel 2014 Giffoni, che nel periodo 2008-2013 fu il primo a ricoprire il ruolo di Ambasciatore d’Italia nel neonato Kosovo, viene investito da gravissime accuse di avere avvallato irregolarità amministrative con pesanti risvolti penali. Le une e gli altri tutti da provare.

La Farnesina prende però per buoni questi sospetti e prima ancora che inizi un processo penale destituisce l’ambasciatore e – con una decisione senza precedenti nei 161 anni di storia italiana – addirittura lo radia (!!?) dal Ministero, in cui lavorava come capo unità del Nord Africa. Un trattamento previsto per conclamati traditori dello Stato: per un diplomatico la destituzione equivale alla degradazione per un militare.

A poco o nulla valsero le numerosissime voci che si levarono da subito a difesa di Giffoni.

In un paese giustizialista\moralista o garantista\tollerante a seconda della convenienza  del momento, per Mike si mossero ambiti tra i più disparati, anche di estrazione politica opposta. Fu un piccolo esercito di operatori a vario titolo negli anni Novanta nei Balcani, che era stato aiutato da quello all’epoca considerato tra i diplomatici più attivi ed entusiasti sul campo. Disponibile ed incorruttibile.

Quando, a Settembre 2021, la verità processuale stabilisce la totale estraneità di Giffoni dai fatti contestatigli (assoluzione con formula piena perché il fatto non sussiste, tanto che la Procura rinuncia all’appello), sembra la fine di un incubo.

Fui tra quanti gioirono per la dignità restituita a Giffoni, rammaricandomi per l’altissimo prezzo fatto pagare ad un innocente cui era stata anticipata la pena al giudizio. Incredibilmente.

Pur sfiancato da anni passati nelle sabbie mobili dei vari ricorsi e minato nella salute, Mike ostentò una sorprendente rassegnazione e – da buon servitore dello Stato – mise da parte propositi legali di vendetta che gli avrebbero permesso di monetizzare il calvario subito.

Andò invece di persona alla Farnesina, un po’ come fece Enzo Tortora quando scagionato tornò alla Rai: senza rancore, come se nulla fosse successo, per coordinare tempi e modi di ritorno al suo posto di lavoro al ministero. Dato per scontato da tutti, a cominciare dai suoi colleghi.

Oggi che il Ministero, con i toni asettici di cui una pubblica amministrazione è capace, nega a Giffoni il giusto reintegro, l’intero caso, come commenta bene Luigi Manconi, si trasforma in un processo kafkiano.

Inutile soffermarsi qui troppo su prevedibili commenti di incredulità mista a tristezza, amarezza e scoramento. Meglio avanzare a mente fredda delle considerazioni su alcuni risvolti non secondari di ordine storico-politico-istituzionale.

  • Aspetti tecnico-amministrativi a parte (la Farnesina ha servizi giuridici d’eccellenza all’interno della funzione pubblica italiana) a risultare incomprensibile è la determinazione del Ministero ad applicare in maniera così integerrima addirittura l’allontanamento tout court del povero Giffoni. Ora che è stato appurato senza minima ombra di dubbio che ha agito senza dolo, merita egli ancora di subire un confino assoluto, cui in passato non si è ricorso nemmeno nei casi disciplinari più gravi? Piuttosto che l’arroccamento in formalismi amministrativi,  la storia sarebbe più indolore per tutti se vi fosse una mediazione di buon senso che restituisse a Giffoni almeno la possibilità di potere completare il decorso naturale dei diritti previdenziali che lo Stato garantisce a tutti i suoi dipendenti. Dopotutto, chi meglio del Maeci sa che le soluzioni diplomatiche sono in assoluto le più auspicabili e, alla lunga, le più efficaci.
  • La diplomazia italiana ha una grande tradizione di capacità, riconosciutale trasversalmente a livello internazionale che una vicenda del genere rischia di macchiare senza portare alcun beneficio. Nato a New York, Giffoni ha avuto una carriera a forte vocazione internazionalista, lavorando per più di un decennio ai più alti livelli del multilaterale europeo. E’ quasi più noto a Bruxelles che a Roma e il suo caso potrebbe avere una eco internazionale crescente, soprattutto dopo la sua piena assoluzione.
  • Questa triste storia rischia di creare preoccupazione interna tra i diplomatici italiani. Da un lato perché l’alta dirigenza della Farnesina non prende in considerazione la netta richiesta delle rappresentanze sindacali interne di un reintegro di Giffoni. Dall’altro perché il timore che una tale ingiustizia possa capitare a chiunque nel Macei, crea un clima che può risultare tossico e limitare l’efficacia dell’azione ministeriale, soprattutto nelle Rappresentanze Diplomatiche più esposte.
  • L’intera circostanza è appunto talmente kafkiana che non verrà facilmente dimenticata e anzi rischia di caricarsi col tempo di eccessivi significati, con le immancabili strumentalizzazioni del caso.

Nella migliore delle ipotesi, potrebbe portare Giffoni ad entrare in politica, portandosi dietro una conoscenza non comune del funzionamento del Ministero.

Nella peggiore, il caso crescerebbe a dismisura facendone uno scandalo a livello nazionale e internazionale.

Di cui proprio non si sente la necessità.

Il caso Michael Giffoni non può finire con una nuova ingiustizia

Talmente grande è il senso di ingiustizia per la vicenda dell’ex ambasciatore italiano in Kosovo, da risvegliare una reazione di protesta anche nello spirito più disincantato e assente. Assolto con formula piena da accuse infamanti che ne avevano causato la radiazione dal Ministero degli Affari Esteri (mai successo prima), gli viene comunque negato il reintegro. Una storia kafkiana che può avere riverberi all’estero

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