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Con una nota diffusa ieri, mercoledì 9 novembre, l’operazione EUNAVFORMED-IRINI ha comunicato di aver condotto un’ispezione della nave mercantile “MV Meerdijk” al largo delle coste della Libia. La nave, ispezionata l’11 ottobre, è risultata trasportare verso il territorio libico veicoli modificati per uso militare, sospettati di violare l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite.

È la seconda volta che IRINI sequestra un carico in attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSCR) 2292 (2016) in meno di tre mesi. Prima era successo a luglio, con l’intercettazione della “MV Victory Roro”, un altro cargo trovato pieno di veicoli modificati per uso militare.

A giudicare dalle foto, i mezzi fermati a ottobre sono di ordine tecnologicamente superiore rispetto a quelli di luglio. I blindati sembrano somigliare ai Batt-UMG veicoli tattici per movimenti di truppe speciali e dotati di sistemi di comunicazione moderni, derivati da chassis Ford e modificati dalla TAG.

La TAG, acronimo di The Armoured Group, è una società con sedi in diversi Paesi (tra questi Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e Canada) i cui mezzi come i Terrier LT-79 sono già stati individuati più volte in Libia — per esempio erano parte di quelli usati dalla milizia di Bengasi Lna durante l’assalto a Tripoli del 2019-2020. Non è chiaro chi abbia spedito quei blindati in Libia. Secondo Yoruk Isik osservatore dei traffici marittimi del Mediterraneo, il cargo avrebbe fatto scalo a Jebel Ali e Sharjah (negli Emirati).

Una delle navi militari di IRINI — l’operazione europea che opera nel Mar Mediterraneo centrale per monitorare il flusso di armi verso la Libia — ha individuato la Meerdijk mentre era diretta verso le coste del Paese nordafricano. Su richiesta dell’Operazione IRINI, in conformità con la Risoluzione 2292 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i Paesi Bassi, in quanto Stato di bandiera della nave, hanno acconsentito senza indugio all’ispezione e una squadra di abbordaggio è stata inviata a verificare la natura dei veicoli.

In linea con il mandato dell’operazione, una volta scoperti i mezzi militari, gli uomini che rispondono agli ordini dell’ammiraglio italiano Stefano Turchetto (da settembre 2021 comandante dell’operazione) hanno messo sotto sequestrato i veicoli e la nave è stata dirottata verso un porto europeo per ulteriori ispezioni. Dopo l’ispezione del gruppo di esperti delle Nazioni Unite, i veicoli sono stati sbarcati e depositati a terra.

Dal marzo 2020, l’Operazione IRINI ha effettuato 25 ispezioni in mare in conformità con tutte le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzano certe attività, come il dirottamento e il sequestro del carico di armi e materiale correlato, se trovato a bordo di navi mercantili dirette in Libia. IRINI, a cui attualmente partecipano 23 Paesi, “continua a sostenere, in modo efficace e imparziale, l’attuazione dell’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite alla Libia”,
spiega una nota stampa che non entra nel merito ma centra il punto della situazione. L’operazione sta implementando le proprie attività, passando dalla deterrenza al conseguimento di risultati senza precedenti.
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Il principale fattore di destabilizzazione in Libia continua a essere l’ampia disponibilità di armi. Ne beneficiano vari gruppi di milizie che ormai sono diventate una realtà cruciale in grado di direzionare le dinamiche interne del Paese. Queste armi sono state fornite da attori esterni che hanno interesse a mantenere la situazione caotica, come già successo in passato, quando il territorio libico era diventato uno spazio per scontri per procura tra alcuni attori della regione.

L’innesco di un processo di stabilizzazione guidato dall’Onu è sempre stato connesso al deconflicting di scontri e tensioni e al controllo del flusso di armamenti dall’esterno — attività affidata a IRINI. La cui centralità connessa alla situazione attuale risulta evidente. La stabilizzazione onusiana è andata in stallo da qualche mese, con la creazione di due gruppi di potere che rivendicano il ruolo esecutivo.

Da un lato c’è Abdelhamid Dabaiba, che guida un governo che aveva ricevuto incarico dal Foro di dialogo politico libico organizzato dalle Nazioni Unite, ma che attualmente è stato sfiduciato dal parlamento libico (ultimo organo elettivo nel Paese, quando fu votato nel 2014, e dunque nonostante tutto legittimato di avere parola sull’esecutivo). Dabaiba è stato accusato di non aver adempiuto al ruolo affidatogli dall’Onu, ossia organizzare le elezioni presidenziali e parlamentari: per tale ragione la Camera dei Rappresentanti ha dato mandato di formare un nuovo governo a Fathi Bashaga.

Bashaga — che ha ricevuto mandato a maggio — è l’ex ministro degli Interni del precedente governo onusiano (caduto dopo aver resistito all’assalto dei miliziani della Cirenaica, passando il testimone a Dabaiba che aveva beneficiato di un’intesa anche con l’Est). Nonostante le sue capacità politiche e le relazioni internazionali, Bashaga non è mai riuscito a implementare in forma esecutiva la squadra scelta per governare, perché ha avuto grosse difficoltà nell’ accedere a Tripoli.

Nella capitale, le milizie che sostengono adesso Dabaiba (si usa “adesso” perché i cambi di casacca sono molto frequenti nel tessetti politico-armato libico) hanno interposto i propri mezzi armati all’ingresso di Bashaga. Ci sono stati scontri, con morti e feriti, non più tardi di agosto e la tensione è tornata molto alta. Anche perché a Bengasi, secondo le informazioni a disposizione di Formiche.net, il capo miliziano locale, l’autoproclamato maresciallo di campo Khalifa Haftar, ribolle. Sente il quadro sfuggirli di mani, subisce una relativa perdita di centralità: una situazione che lo ha già portato a mostrare le armi in dotazione alla sua Lna (ed è noto che se intende non ha remore nell’usarle).

Tanto più se Dabaiba procede nella strada di continuare nella sua personale azione di governo, nonostante gli equilibri siano molto più che precari. Il primo ministro sfiduciato ha recentemente stretto due accordi con la Turchia — uno riguardo alle esplorazioni energetiche nella problematica Zona economica esclusiva libico-turca, un altro di cooperazione militare con Ankara, che già in passato ha dimostrato di privilegiare i propri interessi sulla disponibilità alla collaborazione con le strutture multilaterali. Decisioni che hanno portato Dabaiba a una sbilanciamento sul lato turco, col rischio che altri attori esterni (che in passato hanno sponsorizzato altre posizioni) rientrino nel dossier in modo aggressivo.

Evitare che in questo momento le armi tornino a dettare il passo della crisi — finora solo politica — è cruciale. Il ruolo di IRINI diventa fondamentale nel quadro dell’Integrated Approach dell’Unione europea alla Libia e per assistere l’Onu nell’ennesimo tentativo di mediazione. Da tempo, circolano rumors sulla possibilità di trovare una forma di soluzione terza, affidando la guida del Paese a una sorta di governo di scopo, sotto un accordo ampio, tramite una persona che sappia riattivare il dialogo intra-libico con il compito di organizzare le elezioni.

La Comunità internazionale avrebbe in questo contesto il compito di facilitare il processo, gestire il fall-out del dopo voto, assistere la successiva ripresa. Ma è evidente che tutto questo diventa impossibile se prima si riaccendono i combattimenti. E su questo l’arrivo di nuove armi ha un peso enorme: i gruppi libici potrebbero essere persuasi — se ricevono nuove forniture — di poter risolvere lo stallo con la forza.

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