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Visto che tutti usano, inflazionandolo a più non posso, il termine “storico” guardando al governo di Giorgia Meloni, il primo a guida femminile e perciò appunto una novità assoluta che fa da spartiacque tra un prima e un dopo, alla Storia facciamo riferimento per provare a spiegare ciò che sta succedendo. Riandiamo cioè a Massimo d’Azeglio e a quel suo “abbiamo fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”. Ecco. La Destra ha fatto il governo riempiendo le caselle dei dicasteri: ora bisogna fare tutto il resto, cioè governare.

Meglio dirlo subito. C’è un florilegio di critiche per gli immaginifici nomi dei ministeri e su tutti spicca quello della Sovranità Alimentare (ma l’hanno già fatto in Francia, tanto per dire). Come pure piovono sghignazzi per l’alto profilo annunciato e il basso, quasi radente, risultato ottenuto. Tutto vero, tutto giusto. Però poi c’è la realtà, che com’è noto ha la testa non dura ma durissima. Quello della Meloni è un governo di destra, della destra che c’è in Italia e che ha vinto le elezioni. Prevalere nelle urne non vuol dire fare spallucce verso i doveri e gli impegni, i limiti e le leggi che inverano la democrazia e la irrorano di sangue istituzionale.

Ma è un dato che neppure può essere ridimensionato o derubricato. Il governo Meloni è di destra ma non della destra con la bava alla bocca, sguaiata e sbracata che molte volte ha fatto capolino nelle le parlamentari. A palazzo Chigi c’è una donna che è vissuta da sempre a pane e politica; a via Arenula c’è un galantuomo come Carlo Nordio; alla Difesa un personaggio intellettualmente onesto come Guido Crosetto che dovrà scendere dalla tigre del conflitto di interessi ma che unisce low profile e competenza. Non è male, non è poco. Però era e resta Destra: chi voleva qualcos’altro dovrà attendere che gli italiani si pronuncino di nuovo. Nel frattempo ci sarà da imbastire un’opposizione non sfascista, severa e intransigente, ma capace di proposte che la possano far diventare competitiva al prossimo giro. Per ora si tratta di un obiettivo lontanissimo, e Giorgia per una fase non necessariamente breve, diciamo un paio di anni, su questo potrà contare.

Per mettere a punto il Meloni I ci sono voluti trenta giorni scarsi; cinque anni fa per varare l’esecutivo gialloverde ce ne vollero quasi il triplo. Finì con un signore totalmente digiuno di prassi politica a fare il presidente del Consiglio che nelle menti dei due vicepremier che lo spalleggiavano doveva essere semplicemente un esecutore. Al Viminale andò Salvini; allo Sviluppo economico (e Lavoro) Di Maio. Il primo ingaggiò una guerriglia incostituzionale e insensata con le navi che raccoglievano i disperati finiti in mare; il secondo assicurò di aver abolito la povertà.

Nessuno può negare che la differenza con allora è netta. In peggio o in meglio, ciascuno può e deve deciderlo da solo.

Il (articolo ufficiale) presidente del Consiglio si è comportata con sobrietà nel percorso che l’ha portata dalle urne alla poltrona più importante d‘Italia. Ma la realtà – sempre lei! – è che non ha fatto nulla. Ora, come dicevamo, deve governare e il difficile comincia adesso. Finora la leader di FdI ha potuto contare sul sostegno limpido e nell’interesse della Nazione di Mario Draghi e Sergio Mattarella. Il primo ha abbandonato la scena; il secondo ha usato come sempre in modo impeccabile le sue prerogative per consentire al Paese di avere un governo in tempi adeguati alle emergenze da affrontare e in linea col pronunciamento degli elettori.

Adesso Giorgia dovrà camminare da sola: potrà contare sulla vigilanza del Colle ma la responsabilità delle scelte sarà solo e unicamente sua. Dovrà mostrare di possedere le doti di leadership in grado di fare sintesi tra le richieste degli alleati (compreso il suo partito…) garantendo equilibrio politico della maggioranza, speditezza di marcia nell’azione di governo, capacità di indicare gli obiettivi giusti da perseguire. Soprattutto dovrà cementare una coalizione che si è politicamente sfaldata perché chi l’ha costruita è finito in secondo piano. Il centrodestra che conosciamo è finito; cosa lo sostituirà deve essere costruito.

Tutto molto complicato, tutto in salita. Ma allo stato oltre Meloni non c’è nulla. Se va in tilt, l’Italia rischierebbe di finire ancora una volta in un vicolo cieco. Però stavolta forse definitivamente.

Ora entra in campo la realtà. Meloni e gli italiani sono pronti? Il mosaico di Fusi

Adesso Giorgia dovrà camminare da sola: potrà contare sulla vigilanza del Colle ma la responsabilità delle scelte sarà solo e unicamente sua. Dovrà mostrare di possedere le doti di leadership in grado di fare sintesi tra le richieste degli alleati (compreso il suo partito…). Soprattutto dovrà cementare una coalizione che si è politicamente sfaldata perché chi l’ha costruita è finito in secondo piano. Il centrodestra che conosciamo è finito; cosa lo sostituirà deve essere costruito

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