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A ben guardare, il difetto del Pd non sta tanto nel manico, quanto nella base. Decenni di mancate scelte identitarie, e dunque di messaggi contraddittori, hanno prodotto un’innaturale convivenza tra nostalgici di una sinistra sostanzialmente anti capitalista e fautori di una svolta liberal riformista. Militanti ed elettori sono divisi, sì che chiunque vinca il prossimo congresso sarà incoraggiato ad oscillare tra le due anime col rischio concreto di fare la fine dell’asino di Buridano.

Qualcosa del genere accade, e più passa il tempo più accadrà, in Fratelli d’Italia. Si spiegano così le repentine retromarce che hanno caratterizzato i primi cento giorni del governo: sul decreto rave, sui migranti, sull’Europa, sul tetto ai contanti, sul Pos, sul Mes, sulle pensioni, sulle alte burocrazie pubbliche, sui balneari, sulle accise… Come ha osservato il vecchio Rino Formica intervistato dalla Stampa, “mai si era visto un governo che nelle sue decisioni negasse del tutto gli impegni assunti durante la campagna elettorale”. Non in così poco tempo, almeno.

La ragione sta, appunto, nella necessità di dare soddisfazione a due culture politiche costrette a coabitare pur essendo tra loro ben poco compatibili. La cultura liberale cui Giorgia Meloni si è ispirata nel discorso per la fiducia al Parlamento e la cultura essenzialmente statalista, sostanzialmente populista e in fondo giustizialista della Destra sociale cui si è ispirata negli anni trascorsi all’opposizione. Ovvio che, superata la soglia del 30% dei consensi, la base elettorale e i militanti siano divisi.

Da un’indagine realizzata dalla Noto Sondaggi subito dopo il voto risulta che solo il 7% degli elettori di Fratelli d’Italia si qualifica “di destra”. E in ogni caso le destre possibili sono più d’una. Si tratta, ora, di scegliere. E non basteranno un’assise di partito né una circolare volta a contenere l’incontinenza verbale degli eletti. Se Giorgia Meloni vuole evitare che i difetti del Pd si rispecchino in Fratelli d’Italia deve decidere una volta per tutte a quale cultura politica riferirsi, e caratterizzare di conseguenza le scelte del partito e quelle del governo. Se, in coerenza con l’atlantismo e l’europeismo di fatto del proprio esecutivo, opterà per una destra liberale pagherà un costo iniziale, ma assicurerà alla propria leadeship e al proprio partito la centralità e il realismo necessari non solo per durare, ma anche per dare un senso al governo.

L’ombra del Pd su Fratelli d’Italia. Il commento di Cangini

Se Giorgia Meloni vuole evitare che i difetti del Pd si rispecchino in Fratelli d’Italia deve decidere una volta per tutte a quale cultura politica riferirsi, e caratterizzare di conseguenza le scelte del partito e quelle del governo

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