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Su invito del segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, i ministri degli Esteri dei Paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc), dell’Egitto, dell’Iraq, della Giordania e dello Yemen, si sono incontrati due giorni fa a New York, a latere dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite. Un vertice “per sottolineare partnership e cooperazione congiunta in vari i campi, che è vero che durano da molto tempo, ma hanno bisogno di essere rinvigorite e migliorate”, spiega una fonte tra le delegazioni partecipanti.

L’incontro arriva dopo il vertice di Gedda del luglio 2022, in occasione del quale il presidente Joe Biden aveva incontrato i vari leader regionali. Blinken ha sottolineato “il costante impegno degli Stati Uniti per la sicurezza e la difesa territoriale dei partner americani e l’adozione di tutte le misure necessarie per preservare la sicurezza e la stabilità della regione, nonché lo sviluppo di aree comuni di cooperazione e integrazione”.

I ministri di quei Paesi partner e alleati statunitensi hanno evidenziato il valore storico e strategico delle relazioni e le ambizioni di crescita collegate ad esse, con la promozione di pace, sicurezza e stabilità tra le questioni in cima all’agenda delle priorità, presupposto per la crescita economica e socio-culturale, ed unite alla cooperazione su temi come i cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare e sanitaria, lo sviluppo tecnologico

Lo schema ha un suo interesse intrinseco legato al formato in cui si presenta: l’allargamento a Iraq, Egitto e Giordania (e Yemen) del Gcc spiega come gli Stati Uniti intendano il quadro di dialogo multilaterale con cui approcciarsi alla regione. L’implementazione del Gcc+3 è una priorità strategica per Washington, che vuole parlare con un insieme di Paesi amici e gestire tramite quelli il Medio Oriente.

Se Israele è il fulcro, e si collega al Golfo tramite gli Accordi di Abramo, il Gcc è l’altro snodo nevralgico e l’allargamento a Paesi satelliti di quelle monarchie è importante per la costruzione di quell’architettura non solo di sicurezza, ma anche politica di cui recentemente parlava Giuseppe Dentice (CeSI) su queste colonne.

L’Iraq è un Paese complesso che soffre la penetrazione iraniana (non solo l’influenza in termini culturale e di soft power, ma anche un hard power connesso alle attività estere del Sepâh). Ma Baghdad è importante sia nel quadro energetico sia perché le insoddisfazioni dei suoi 40 milioni di abitanti sono un elemento di stabilità importante per l’intera regione.

L’Egitto è da sempre un punto nodale: a metà tra Medio Oriente e Nord Africa, è una cerniera nell’area MENA, s’affaccia sul Mediterraneo orientale e sulle politiche energetiche collegate, ha un ruolo nelle instabilità nordafricane (vedere la Libia), ha una proiezione sul Mar Rosso (e dunque fino al Corno d’Africa) e lo snodo geostrategico di Suez, è un alleato nella lotta al terrorismo.

Giordania e Yemen hanno loro peculiarità. Amman è un partner americano nella sicurezza regionale, seppure mantenga un dialogo con Russia e in parte Cina. Sanaa è guerra da anni, smembrata dalla rivolta degli Houthi che è uno degli enormi bubboni securitari dell’area (senza sottovalutare che il territorio yemenita scorre dal Mar Arabico a Bab el Mandab e presenta un suo valore strategico).

Gli Usa dialogano con i partner del Golfo. Il vertice a New York

Il segretario di Stato ha guidato i lavori del sistema multilaterale attraverso il quale Washington intende lavorare nella regione mediorientale, allargandosi fino al Nordafrica. Blinken rinnova l’impegno americano nella tutela della sicurezza e nell’integrazione e cooperazione in aree strategiche

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