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Qui l’articolo di Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation e già vicesegretario della Nato, all’interno di una rubrica del Gruppo dei Venti per un Programma di legislatura su Equità e Sviluppo. Qui la presentazione del volume curato da Luigi Paganetto

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Piotr Naimski ebbe l’idea di una pipeline che collegasse direttamente la Polonia con i campi offshore di gas della Norvegia nel 1992, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, per la nuova strategia russa di replace tanks with pipelines. Oggi la Baltic Pipeline sostituisce il 100% delle importazioni dalla Russia in Polonia. Peccato che 20 anni dopo – Nord Stream1 – gli europei non si siano accorti che la strategia russa si era allargata dai paesi dell’Europa orientale al resto dell’Europa. Altri 10 anni e arriviamo al 2022 e l’uso militare dell’energia per assicurarsi la condiscendenza europea all’attacco all’Ucraina.

Per ora il ricatto russo ha fallito, ma ci resta l’inflazione che l’improvvisa mancanza del gas russo ha provocato. La Banca Centrale Europea fa quello che può, ovvero, ridurre la domanda aumentando il tasso d’interesse e riducendo il QE. Non il colmo dell’efficacia per un’inflazione da shock di offerta. E la politica di bilancio? Ha ammortizzato l’impatto del prezzo dell’energia su famiglie e imprese. Poi ci si è resi conto che l’impatto non era transitorio.

Negli Stati Uniti il governo ha già reagito con l’Inflation Reduction Act (Ira) di Biden che, per oltre metà del suo ammontare (737 miliardi), riguarda la sicurezza energetica e l’energia pulita. Anche in Europa abbiamo il know-how tecnologico per gestire la transizione climatica e le risorse finanziarie per metterlo in atto. Così si riduce la causa immediata d’inflazione – la militarizzazione del gas da parte di Putin – e si riduce anche il danno collaterale delle misure monetarie: l’abbassamento della crescita o persino la recessione in Europa. Infatti, da noi l’economia non era surriscaldata come negli Stati Uniti, quindi l’Fmi prevede una recessione per due trimestri del prossimo anno come conseguenza della politica monetaria restrittiva.

La politica di bilancio può mirare agli investimenti in infrastrutture, soprattutto reti intelligenti per l’elettricità, diffusione del digitale, mobilità sostenibile, che miri ad alleviare il peso del commuting su chi lavora, e investimenti in salute ed istruzione, burocrazia e giustizia che facciano crescere la produttività. Ma, in ogni caso, ha un effetto positivo sulla domanda e quindi alimenta l’inflazione e la reazione restrittiva della Banca centrale.

Può la politica di bilancio dei Paesi membri bilanciare quella monetaria senza vanificare lo sforzo per ridurre l’inflazione? Dipende. Intanto la politica monetaria restringe la possibilità di fare debito, che diviene più costoso anche per gli Stati, in particolare per quelli più indebitati, come il nostro. La fine del Qe, inoltre, rende più rischioso il debito italiano, con l’ulteriore aggravio dei rendimenti richiesti dagli investitori.
Ma una politica d’investimenti pubblici e riforme strutturali può sostenere l’economia e garantire la crescita potenziale, che aumenta la sostenibilità del debito, a due condizioni: deve aumentare la produttività totale, ovvero l’efficienza con la quale i fattori produttivi producono beni e servizi e deve eliminare le strozzature alla produzione.

In Italia conosciamo le nostre: burocrazia e inefficienza della giustizia. Aumentare la produttività significa innovazione, soprattutto digitale, e autonomia energetica, soprattutto tramite rinnovabili per sfuggire all’incertezza non solo di prezzo, ma della disponibilità stessa dell’energia. Aumento della produttività significa stipendi più alti per arrestare l’emorragia di giovani dall’Italia ed attrarne altri dall’estero. Eliminare le strozzature alla produzione significa ristabilire il merito per le carriere nel settore pubblico, a cominciare dalla giustizia e la scuola/università.

Quindi, il governo dovrebbe mirare gli aiuti alle famiglie più fragili e alle imprese vitali, non i soliti zombie. Lasciare che il segnale del prezzo e gli incentivi statali stanino i risparmi privati per l’installazione di pannelli fotovoltaici per l’autoproduzione. E riservare i finanziamenti disponibili all’innovazione digitale, a partire dal settore energetico. Sarà difficile competere con i sussidi dell’Ira di Biden: malgrado Enel non riesca a soddisfare la domanda per installazioni di fotovoltaici in Italia, sembra che costruirà un nuovo stabilimento per fotovoltaico in Usa.

Ma dobbiamo provarci per le immense potenzialità dell’elettricità da fonti rinnovabili come l’eolico e il solare, che richiede enormi quantità di pannelli solari, turbine eoliche, cavi elettrici e condensatori, nonché meccanismi per immagazzinare energia. Saranno poi necessari elettrolizzatori e pile a combustibile per ottenere direttamente l’elettricità dall’idrogeno, e molto altro per la cattura della CO2.

Per raggiungere net zero nelle emissioni di carbonio nel 2050, gli investimenti necessari sono immensi, stimati fino a un trilione di dollari per anno a livello globale. Lo Stato guiderà il processo, ma gli investimenti privati seguiranno consolidando la crescita e riducendo l’inflazione.
I mercati finanziari capiscono questo processo: i rendimenti degli eurobond per finanziare i Piani nazionali di ripresa e resilienza – incluso quello dell’Italia – non sono più elevati di quelli richiesti all’inutile, ma gonfio di capitale collaterale, Mes.

Purtroppo, il bilancio programmatico del governo, seppur prudente, va nella direzione opposta a quanto sarebbe produttivo. Nei bonus “ecologici” prorogati non ci sono obblighi per installare pannelli solari. Invece si riducono le bollette per tutti. Sembra non compresa la non-transitorietà dell’inflazione. Ci sono cause strutturali dell’inflazione: l’entrata di centinaia di milioni di abitanti della Cina, dell’ex Unione Sovietica etc., che nel mercato del lavoro globale ha abbassato i prezzi del manufatturiero negli ultimi 30 anni. I nuovi entranti nel mercato globale sono ridotti, mentre la popolazione in età lavorativa dei paesi avanzati si riduce. Così è finita anche la pressione deflazionistica sui prezzi. Mentre la geopolitica ci obbliga a friend-shoring che aumenterà anch’esso i prezzi.

Quello che è davvero importante per il nostro Paese è che progetti e riforme del Pnrr vengano realizzati nei tempi. I fondi per investimenti verdi e digitale sono circa 100 miliardi di euro e si potenziano gli uni con gli altri. Le scadenze per la transizione energetica, previste prima della guerra, devono essere anticipate. L’investimento nel digitale in tutte le sue declinazioni aumenta la produttività, malgrado l’invecchiamento della popolazione. Entrambi riducono l’inflazione senza interrompere la crescita.

Gas

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Perché quello che è davvero importante per il nostro Paese è che progetti e riforme del Pnrr vengano realizzati nei tempi. E le scadenze per la transizione energetica, previste prima della guerra, devono essere anticipate, nonostante l’inflazione. Il commento di Gloria Bartoli, economista e docente Luiss, membro del Gruppo dei 20

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