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La Cina è il Paese della cenere, sotto la quale arde una brace pronta a innescare nuovi e, per sfortuna di Pechino prevedibili, incendi. Lo dimostra la grande crisi finanziaria che attanaglia la seconda economia mondiale, fatta di una bolla immobiliare a sua volta figlia di un debito troppe volte sfuggito di mano, che parte dalle piccole banche di provincia finite a corto di liquidità e arriva ai grandi gruppi del mattone, a gambe all’aria dopo aver costruito decine di migliaia di appartamenti che nessuno ha comprato.

Adesso, dal passato riaffiora un altro spettro, non meno pericoloso delle varie Evergrande, Shimao, Fosun, aziende indebitate fino al collo e lasciate al loro destino (il fondo per il mattone da 300 miliardi di yuan ad oggi non è sufficiente a evitare i default), nonostante la consapevolezza dello stesso governo cinese: Huarong. Formiche.net si è spesso occupata di questa gigantesca realtà cinese, ovviamente a partecipazione pubblica. Si tratta della principale bad bank del Dragone, un’immane discarica di crediti deteriorati, ma pur sempre crediti, che le imprese e le banche non sono riusciti a riscuotere. Finendo con metterli tutti quanti nella pancia di Huarong.

Ora, anni di indebitamento corporate cinese hanno immesso una quantità sempre maggiore di crediti nei bilanci delle bad bank della Repubblica Popolare, alla quale si sono rivolte molte aziende che quei crediti li avrebbero voluti liquidati e subito. Peccato che, come rivelato dal Financial Times, i bilanci di Huarong e delle sue sorelle non abbiano retto, finendo letteralmente intasati di crediti inesigibili. In altre parole, è finita la capienza, tanto che lo scorso giugno per non spaventare gli investitori, una delle quattro maggiori bad bank cinesi, Great Wall, ha deciso di non pubblicare il proprio bilancio.

La situazione è seria, perché si tratta di una crisi nella crisi. Huarong, Great Wall e le altre bad bank furono create negli anni 90 proprio per prevenire crisi di debito su larga scala. Nel momento in cui alcune aziende indebitate non fossero più riuscite a onorare i propri impegni, sotto forma di credito commerciale o semplicemente bond (come nel caso di Evergrande), sarebbero entrati in azione i colossi in questione, riscuotendo per conto proprio il credito affidato da terzi.

“I bilanci delle quattro grandi società di gestione patrimoniale cinesi, China Cinda Asset Management, China Huarong Asset Management, China Great Wall Asset Management e China Orient Asset Management”, ha scritto il quotidiano della City, “sono diventati così gonfi che la loro capacità si è improvvisamente ridotta”. E così, quelli che dovevano essere dei veri cuscini contro le crisi sistemiche si sono trasformati in “mostri finanziari”, ha affermato Chen Long, partner della società di consulenza con sede a Pechino, Plenum. “Non conterei su di loro per svolgere un ruolo importante nell’affrontare la crisi immobiliare”.

Il tutto mentre la Cina sta affrontando un’altra crisi, forse meno finanziaria e più sociale: l’isteria fatta di corse agli sportelli, innescata da depositi congelati in conti online del valore di 40 miliardi di yuan (6 miliardi di dollari) e che ad oggi ha contagiato 400 mila depositanti. Soldi trattenuti dalle banche per restare vive, visto che la liquidità che c’era in cassa è stata tutta o quasi prestata ai giganti del mattone. Ora insolventi.

Di debito si muore. In Cina riesplode la mina Huarong

La bad bank del Dragone, controllata da Pechino, non riesce più ad assorbire e gestire i crediti inesigibili, esplosi con la crisi del mattone e con il collasso di Evergrande. E non è la sola

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