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Con Liz Truss e Giorgia Meloni il G7 potrebbe assumere una postura ancor più netta nel confronto tra Occidente e Cina. Il tutto, sotto la guida di Joe Biden. A un mese dal ventesimo congresso del Partito comunista cinese, l’evento che dovrebbe incoronare per la terza volta Xi Jinping come leader e definire la nuova politica estera di Pechino, il presidente statunitense è tornato a ribadire che che le forze statunitensi difenderanno Taiwan da un’eventuale attacco cinese. Alla domanda della CBS se le truppe statunitensi avrebbero difeso Taiwan, ha risposto “sì”, se si fosse trattato di “un attacco senza precedenti”. La prossima riunione dei leader del G7 potrebbe essere un punto di snodo cruciale. Si terrà in Giappone, dove il governo ha allo studio un incremento delle spese militari per i prossimi cinque anni, per una somma che supera i 40.000 miliardi di yen (circa 288 miliardi di euro), per “rafforzare i fondamentali” della capacità difensiva del Paese alla luce dell’espansione militare in Cina, oltreché della minaccia nucleare e del programma missilistico nordcoreani.

Come raccontato su Formiche.net, la neo premier del Regno Unito ha adottato la linea dura nel confronto con Pechino durante i suoi due anni da ministra degli Esteri. Un approccio che difficilmente cambierà ora che è al numero 10 di Downing Street a giudicare da alcune scelte in ruoli cruciali come James Cleverly promosso a sua successore al Foreign Office e Tom Tugendhat sottosegretario alla Sicurezza all’interno dello Home Office. “Tutti i nostri alleati devono assicurarsi che Taiwan sia in grado di difendersi da sola, e questo è molto, molto importante”, ha detto Truss in un’intervista alla CNN rispondendo a una domanda sull’impegno britannico a seguire l’alleato statunitense nella difesa militare dell’isola in caso di attacco da parte della Cina.

Sebbene Fratelli d’Italia abbia una visione sui diritti diversa da quella che caratterizza Taiwan, la leader Meloni ha investito nei rapporti con Taipei – e dunque in una linea critica con la Cina – nel tentativo di occupare uno spazio vuoto, marcando distanza dalla Lega di Matteo Salvini e rassicurando gli Stati Uniti sul suo atlantismo. Non è un caso la dura reazione dell’ambasciata cinese a Roma dopo l’intervista di Meloni all’agenzia taiwanese Cna in cui ha promesso che che con un governo di centrodestra “è certo che Taiwan sarà una questione fondamentale per l’Italia” e ha bollato come “inaccettabili” le minacce della Cina all’isola. Non è un caso neppure l’“augurio” di Pechino – se si può definire così – che il nuovo governo italiano “continui ad aderire a una politica positiva e pragmatica nei confronti della Cina, sostenga lo spirito di rispetto reciproco, la fiducia reciproca, il vantaggio reciproco e risultati vantaggiosi per tutti”. Tradotto: Pechino auspica che Roma consideri la questione Taiwan come “affari interni della Cina”.

Nei giorni scorsi, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite riunitasi a New York, Annalena Baerbock, ministra degli Esteri della Germania, presidente di turno del G7, ha rilasciato una dichiarazione a nome dei Sette e dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza sottolineando spiegando che le posizioni su Taiwan, “compresa la politica ‘Una Cina’, non sono cambiate” ma ribadendo “l’opposizione a modifiche unilaterali dello status quo” (cioè di operazioni militari cinesi contro Taiwan).

La dichiarazione di Antony Blinken, segretario di Stato americano, dopo le elezioni italiane sembra un messaggio chiaro all’Italia nella sfida contro le autocrazie. “Siamo lieti di lavorare con il governo italiano su obiettivi condivisi: sostenere un’Ucraina libera e indipendente, tutelare i diritti umani, creare un futuro economico sostenibile. L’Italia è un alleato vitale, una democrazia forte, un partner prezioso”, ha spiegato. Spesso dietro alle formule sui diritti umani e sull’economia sostenibile si cela un unico obiettivo: rilanciare i valori occidentali e offrire al resto del mondo una soluzione alternativa rispetto ai piani investimenti cinesi dietro i quali si possono nascondere dipendenze economiche e politiche.

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